Nel 2022 i lavoratori domestici regolari in Italia sono poco meno di 900mila con una riduzione rispetto al 2021 nell’ordine del -7,9% (-76.548 lavoratori). Un decremento che è la conseguenza dell’esaurimento degli effetti della “sanatoria”, la norma che ha consentito la regolarizzazione di molti lavoratori domestici stranieri, e che ha riportato gli assunti regolari ai livelli del 2016. E’ quanto emerge dal 5° rapporto annuale sul lavoro domestico, promosso dall’Osservatorio DOMINA presentato a fine Gennaio presso la Sala Nassirya del Senato della Repubblica.
A livello regionale il decremento dei lavoratori non è omogeneo: in Campania (-13,5%), in Basilicata (-13,3%), e Calabria (-13,1%) è stato più marcato, mentre in alcune regioni come la Sardegna è stato meno importante (-1,9%). Rispetto alla popolazione residente i lavoratori domestici sono maggiormente presenti in Sardegna, Lazio e Toscana e, considerando la distribuzione sul territorio, un terzo di tutti i lavoratori domestici si concentra in due sole regioni: Lombardia (19,5%) e Lazio (13,8%). Prendendo in esame anche la componente irregolare (stimata da INPS nell’ordine del 51,8% contro una media nazionale dell’11,3% per gli altri settori economici), il numero complessivo dei lavoratori domestici raggiunge gli 1,86 milioni.
L’identikit dei lavoratori domestici: cresce la componente italiana e la presenza maschile
Se è vero che a livello nazionale si registra una prevalenza di lavoratori domestici stranieri (69,5%) dall’altra parte cresce il trend dei lavoratori domestici italiani che raggiungono il 30,5% del totale. Tra le nazionalità straniere la componente più significativa è quella rappresentata dell’Est Europa pari al 35,4% dei lavoratori domestici totali. I lavoratori domestici asiatici rappresentano invece il 17% dei lavoratori a livello nazionale e superano il 20% nelle regioni in cui è forte la presenza di colf, come il Lazio (27,7%), Sicilia (24,7%), Campania (23,8%) e Lombardia (22,5%). Sebbene il lavoro domestico sia storicamente identificato con il genere femminile, nel 2022 sono stati registrati oltre 121 mila lavoratori domestici di genere maschile (13,6% dei lavoratori totali). In alcune regioni il fenomeno è maggiormente presente: in Sicilia il 23% dei lavoratori domestici è di genere maschile e in Campania la percentuale arriva al 17%.
L’identikit del datore di lavoro domestico: italiano e donna
In Italia nel 2022, secondo i dati dell’Osservatorio DOMINA, i datori di lavoro sono 978 mila ovvero 109 ogni 100 lavoratori domestici. Il fatto che il numero di datori sia superiore a quello dei lavoratori, significa che è frequente il caso di lavoratori occupati presso lo stesso datore di lavoro. La maggior parte dei datori di lavoro è di genere femminile (56,7%), in particolare in Sardegna il valore arriva al 67,1%, mentre è il Veneto la regione con il maggior numero di datori di lavoro maschi (47,9%). Considerando la nazionalità il 93,8% dei datori di lavoro domestico è italiano, mentre gli stranieri comunitari rappresentano il 2,5% e quelli extra Ue il 3,7%. Infine, è interessante anche l’analisi dei datori di lavoro per fascia d’età: le due classi più rappresentate sono quella sotto i 60 anni (31,2%) e quella sopra gli 80 (36,1%).
Il lavoro domestico vale l’1% del PIL
Secondo DOMINA nel 2022 la spesa delle famiglie per il lavoro domestico ha incontrato per la prima volta un calo, dopo l’aumento progressivo registrato dal 2017. Nello specifico, considerando gli 1,86 milioni di lavoratori complessivi, la spesa delle famiglie raggiunge i 14,3 miliardi, di cui 7,7 per le badanti e 6,6 per le colf. Pur avendo una produttività piuttosto bassa rispetto ad altri settori economici, il lavoro domestico offre comunque un contributo positivo al PIL italiano, pari all’1%. A livello territoriale un quinto del PIL del lavoro domestico italiano è prodotto in Lombardia (21,5%). In questo contesto le famiglie ricoprono un ruolo fondamentale come attori di welfare, dato che il loro impegno come datori di lavoro si traduce in un risparmio per le casse pubbliche. Ad esempio, senza la spesa delle famiglie, che garantisce la possibilità dell’assistenza a domicilio, lo Stato dovrebbe spendere circa 19,8 miliardi in più per la gestione in struttura di quasi 1 milione di anziani. Azzerando completamente l’indennità di accompagnamento, che oggi va a sostegno, dell’assistenza a domicilio, la spesa pubblica salirebbe a 33,3 miliardi.