Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali
Il tipo di delega è decisivo per individuare il responsabile dell’infortunio: è quanto emerge dalla sentenza della Cassazione n. 8476 del 27 febbraio 2023, con cui la quarta sezione penale ha annullato la condanna dell’amministratore delegato per le lesioni occorse a un lavoratore in quanto i giudici di merito avevano omesso di verificare la natura della delega in materia di sicurezza fatta a un altro dei consiglieri del CdA, e ha chiarito che non va confusa la delega di funzioni prevista dall’art. 16 del testo unico sulla sicurezza lavoro (dlgs 81/2008), con quella gestoria di cui all’art. 2381 c.c., ai sensi del quale il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni a uno o più dei suoi componenti. Infatti, la prima comporta un trasferimento di poteri e correlati obblighi dal datore di lavoro verso altre figure non qualificabili come tale, e che non lo diventano per effetto della delega, così che il conferimento del potere di spesa è requisito essenziale per l’individuazione delle responsabilità; al contrario, la delega gestoria consente, nel caso in cui della funzione datoriale siano investiti una pluralità di soggetti (ovvero l’intero consiglio di amministrazione), di concentrare i poteri decisionali e di spesa ai suddetti spettanti solo su alcuni componenti, delimitando di conseguenza anche la imputabilità dell’evento lesivo.
Il rilascio dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) alla società già sottoposta alle indagini per reati ambientali non estingue le relative contestazioni e non porta alla revoca dell’eventuale sequestro preventivo dell’area industriale. L’Aia, ai sensi dell’art. 4, dlgs 152/2006 (cosiddetto “Testo unico dell’ambiente”), ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente da alcune attività elencate dalla legge e prevede “…misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale”.
La «coperta» degli Enti di previdenza è (sempre più) lunga e avvolgente, quando si tratta di difendere la salute dei professionisti associati: dagli esami clinici per prevenire le malattie, oppure per giungere tempestivamente ad una diagnosi, fino alla giusta cura delle patologie (anche) attraverso le scoperte tecnologiche più sofisticate e l’impiego della telemedicina, l’erogazione di prestazioni per mantenere nelle migliori condizioni possibili lo stato fisico rappresenta il maggior investimento attuato in campo assistenziale. Globalmente, il comparto che assicura i lavoratori autonomi iscritti a Ordini e Collegi da tempo paga annualmente con oltre 500 milioni tutta la gamma di iniziative per sostenere le sue diverse platee: un ruolo significativo continua a svolgerlo l’Emapi (l’Ente di mutua assistenza per i professionisti italiani), un’associazione senza finalità di lucro e Fondo sanitario riconosciuto dal ministero della Salute (a cui aderiscono 12 tra le 18 Casse previdenziali e le due assistenziali che fanno parte di un’unica organizzazione, l’Adepp) che raggiunge almeno un milione di persone, che beneficiano tanto di molteplici trattamenti sanitari integrativi, quanto della ormai assai diffusa «Long term care», ovvero la tutela in caso di non autosufficienza, che si configura quale strumento estremamente prezioso per affrontare con dignità e riguardo le conseguenze del graduale aumento dell’aspettativa di vita della popolazione.
Negli ultimi 12 mesi, una famiglia italiana su due ha incontrato qualche difficoltà, più o meno grave, nel pagare le rate del mutuo e/o di altro prestito. A certificarlo sono gli esiti dell’indagine dell’osservatorio “SalvaLaTuaCasa” realizzata da Nomisma per Esdebitami Retake, società benefit operante nel settore creditizio che, grazie ad un servizio di consulenza specialistico in materia di soluzioni stragiudiziali alle crisi da sovraindebitamento, affianca famiglie, lavoratori e imprese in difficoltà e li aiuta a superare problemi di sostenibilità delle rate dei finanziamenti. Secondo la ricerca, in particolare, il 37% delle famiglie coinvolte ha pagato le rate del mutuo con non poche difficoltà mentre il 10% ha onorato il proprio debito ma con molte difficoltà. Il medesimo trend si registra anche per quanto concerne le rate dei prestiti corrisposte nell’ultimo anno, con il 39% delle famiglie che ha pagato ma con qualche difficoltà mentre il 13% ha versato quanto dovuto ma incontrando molte difficoltà nel contesto dell’economia domestica. L’indagine ha, inoltre, rilevato che il 2% del campione ha accumulato ritardi nel pagamento delle rate del mutuo ed è tuttora in ritardo nel pagamento di una o più rate mentre l’1% delle famiglie ha accumulato ritardi nel pagamento delle rate ma è riuscito a recuperare i pagamenti insoluti. Sul fronte dei prestiti, tali percentuali si attestano, rispettivamente, sull’1% e sul 3%.
Due imprese su tre devono migliorare le proprie prestazioni Esg. Il 64% delle imprese finanziate o garantite da Confidi, infatti, si trova in una situazione critica riguardo all’impatto della loro attività in termini ambientali, sociali e di governance (parametri meglio noti, appunto con l’acronimo “Esg”, Environmental, social and governance). Le imprese più virtuose si trovano nel Nord Ovest, mentre i settori dei servizi e del commercio sono quelli che dimostrano maggiore attenzione. Al contrario, le imprese del Sud e delle Isole e del settore primario sono quelle che si allontanano maggiormente dagli obiettivi. Sono i risultati emersi da una ricerca Crif, condotta in collaborazione con l’Università degli studi di Firenze, che ha approfondito per la prima volta le istanze Esg nel mondo dei Confidi utilizzando lo score Esg di Crif per valutare le prestazioni delle imprese garantite. L’obiettivo della ricerca è stato quello di analizzare le differenze nella popolazione di imprese nel portafoglio di quasi 100 Confidi italiani (consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi), vigilati e non, in termini di fattori Esg.
Ititoli azionari e obbligazionari potranno essere rappresentati digitalmente da un token. Alcuni strumenti finanziari, infatti, potranno essere emessi tramite scritturazioni su un libro elettronico, tenuto da un responsabile del registro. Sarà proprio onere del responsabile adottare tutte le misure idonee per evitare danni derivanti dalla tenuta del registro, assicurandosi che sia conforme a quanto previsto. In caso contrario, il responsabile stesso ne risponderà. È una delle conseguenze dell’entrata in vigore del decreto legge n. 25/2023, il cosiddetto decreto Fintech, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 17 marzo 2023 (entrato in vigore il 18 marzo scorso), con il quale il governo italiano ha dato attuazione al regolamento europeo 2022/858 relativo a un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia a registro distribuito o Dlt pilot regime. Per Dlt, Distributed ledger technology, si intendono, infatti, i registri di informazioni digitalizzati e decentralizzati come la blockchain. Con l’emanazione del decreto i registri distribuiti e la blockchain fanno quindi il loro ufficiale ingresso nell’ordinamento giuridico italiano. Le nuove norme consentiranno di procedere all’emissione di azioni e obbligazioni “tokenizzate”; in sostanza, i titoli potranno essere rappresentati digitalmente dai token, essere emessi attraverso delle security token offerings (Sfo), acquistati dagli investitori (non necessariamente istituzionali o professionali) e negoziati nei private markets.
Una impresa su due è molto soddisfatta del factoring, ossia della possibilità di cedere i propri crediti (esistenti o futuri). Rispetto alle banche, c’è maggiore disponibilità a ottenere finanziamenti; il servizio è più completo; richiede meno garanzie; aiuta a valorizzare sia gli affari sia il merito creditizio; propone soluzioni di più facile utilizzo. Si tratta, tuttavia, di una forma di finanziamento complementare e non alternativa al credito bancario (rispettivamente per il 28,6% contro l’11,3% delle imprese). Anticipando, quindi, il valore del credito rispetto alla scadenza dell’incasso effettivo si ottiene liquidità per le casse delle imprese, utile, per esempio, per rimborsare i debiti a breve termine verso banche e/o fornitori (40%), o per fare fronte alle uscite correnti come stipendi, utenze (46% circa). È lo scenario tratteggiato dall’indagine che l’Associazione italiana per il factoring, Assifact, ha realizzato in collaborazione con Kpmg per individuare la domanda di factoring e di invoice fintech, modello che si riferisce all’utilizzo di piattaforme online per l’acquisto dei crediti commerciali. Proprio in questa direzione, in prospettiva, le imprese manifestano la richiesta di più innovazione tecnologica per poter disporre di piattaforme online “aperte”, attraverso le quali scegliere soluzioni e servizi negoziabili con diversi intermediari e finanziatori.
Lenzuolata di adempimenti “whistleblowing” per imprese (anche medie e piccole) e p.a.: devono metter su un canale sicuro per la segnalazione interna di illeciti, darlo in gestione a un responsabile o a un ufficio creato ad hoc, formare gli addetti all’analisi delle soffiate, informare il personale sull’iter delle segnalazioni, aggiornare il sito internet aziendale/istituzionale e integrare il codice disciplinare. Devono anche curare le incombenze privacy che ne derivano, prima tra tutte la stesura di una valutazione di impatto privacy (Dpia). Sono le attività da mettere in agenda prescritte dal dlgs n. 24/2023 che attua la direttiva 2019/1937, revisiona in toto il sistema del whistleblowing e progetta tre condotti per le soffiate: il canale interno all’azienda o p.a., il canale esterno (Anac, autorità nazionale anticorruzione) e la divulgazione pubblica. Il dlgs, in Gu n. 63 del 15 marzo 2023, avrà effetto dal 15 luglio 2023, con un’eccezione: per i soggetti privati fino a 249 dipendenti, l’obbligo di istituire il canale di segnalazione interna avrà effetto dal 17 dicembre 2023.