UNA PANORAMICA DELLE MISURE MESSE IN CAMPO E DELL’IMPATTO SUI NUOVI TREND OCCUPAZIONALI
di Antonio Longo
Le azioni di welfare aziendale rappresentano per le imprese un utile strumento per affrontare le conseguenze della crisi epidemiologica ma anche gli impatti psicologici sui lavoratori che riconsiderano le loro condizioni lavorative e le motivazioni al lavoro, fino alla scelta, spesso, di dimettersi. E’ stato definito «great resignation» l’emergente fenomeno, manifestatosi negli Stati Uniti e che si sta affacciando anche in Italia, che consiste nell’incremento delle dimissioni dei lavoratori come conseguenza dell’impatto psicologico della pandemia. Scenario in cui proprio il welfare aziendale può rappresentare uno strumento di contrasto a tale trend e confermarsi come misura di fidelizzazione dei lavoratori. A sottolinearlo è la quarta edizione del report «Welfare for people» dedicato al welfare occupazionale e aziendale in Italia e sviluppato nell’ambito dell’osservatorio promosso in collaborazione tra Intesa Sanpaolo e la scuola di alta formazione in relazioni industriali e di lavoro di Adapt. Obiettivo principale del focus è quello di misurare, in termini qualitativi, le iniziative di welfare intraprese a livello aziendale in coerenza con l’obiettivo di ripensare l’organizzazione del lavoro mettendo al centro la persona.
Il welfare index. Gli analisti hanno individuato i parametri che consentono ad imprese, operatori e attori del sistema di relazioni industriali di misurare concretamente, e in modo attendibile, la vicinanza o lontananza dal concetto di welfare aziendale di un determinato mix di misure che appartengono a un piano di welfare. L’index può, pertanto, rappresentare uno strumento progettuale e operativo utile alla messa a punto, alla successiva implementazione e al controllo periodico di piani e percorsi di welfare aziendale, tanto in una dimensione aziendale che di territorio o di settore produttivo.
Le diverse misure. Premesso che nel quadro normativo manca una precisa definizione di welfare aziendale, il lavoro di ricerca ha raccolto i contratti che trattano la materia del welfare per poi codificare le diverse misure ivi contenute, aggregandole per categorie di prestazioni: previdenza complementare, assistenza sanitaria integrativa, assistenza ai familiari e cura, assicurazioni, educazione/istruzione, attività ricreative e tempo libero, buoni acquisto, mensa e buoni pasto, trasporto collettivo, formazione, flessibilità organizzativa. Punto di riferimento da cui ha preso le mosse l’analisi è il testo dell’articolo 38 della costituzione secondo cui ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. Inoltre, i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. La ricerca distingue le prestazioni che hanno una funzione redistributiva/concessiva o sociale, rivolte alla persona del lavoratore e/o alla famiglia, da altre misure che hanno, invece, una funzione economica e produttiva. Gli esperti avanzano un’ulteriore distinzione tra il concetto di welfare occupazionale, con il quale si indica l’insieme dei servizi e delle prestazioni che vengono erogate dalle aziende ai propri dipendenti semplicemente in virtù del contratto di lavoro che lega le une agli altri, e quello di welfare aziendale in senso stretto, a cui afferiscono le misure che incidono, ben oltre la semplice incentivazione fiscale, sull’assetto organizzativo e produttivo di impresa.
Il welfare durante la pandemia. A fronte della situazione emergenziale legata alla diffusione del Covid – 19, dalla lettura del report emerge un quadro variegato di previsioni, introdotte dalle parti attraverso accordi e protocolli aziendali che dimostrano come le aziende che già avevano sperimentato misure e soluzioni di welfare aziendale siano state sicuramente avvantaggiate nell’adottare soluzioni efficaci per la fase emergenziale, avendo già acquisito consapevolezza della funzione organizzativa e produttiva del welfare. Sul piano delle prestazioni, emergono numerose soluzioni relative alla flessibilità oraria e organizzativa, anche in funzione di conciliazione vita – lavoro e alla formazione, a conferma di come tali misure si siano dimostrate funzionali a gestire l’allontanamento dal luogo di lavoro dei lavoratori, a fronte delle restrizioni alle attività produttive.
In Italia la propensione a dimettersi è ancora contenuta. Il 56,2% degli occupati italiani non è propenso a lasciare il proprio lavoro, nella convinzione che non troverebbe un impiego migliore. La percentuale sale al 62,2% tra i 35-64enni e al 63,3% tra gli operai. Ad attestarlo sono i risultati della quinta edizione del rapporto Censis – Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato con il contributo di Credem, Edison e Michelin. Secondo i dati contenuti nel report, nei primi nove mesi del 2021 si sono registrate 1.362.000 dimissioni volontarie, con un incremento del 29,7% rispetto allo stesso periodo del 2020 ma proprio in tale anno si era verificato un picco negativo di dimissioni, solo 1.050.000 nei primi tre trimestri, ovvero -18% rispetto al 2019. Tra i lavoratori italiani, pertanto, al momento prevale il pragmatismo sulla tentazione delle dimissioni al buio per cercare un impiego più gratificante o per fare altro. Fa più paura l’idea di ritrovarsi impantanati nella precarietà del mercato del lavoro. Eppure l’82,3% dei lavoratori (l’86,% tra i giovani, l’88,8% tra gli operai) si dice insoddisfatto della propria occupazione e ritiene di meritare di più. Il focus conferma che aumentano le imprese che puntano sugli strumenti del welfare aziendale, per il 62,5% di un panel di responsabili delle risorse umane di grandi imprese il welfare è una priorità e il 71,9% si dice pronto ad attivare servizi ad hoc per informare nel merito i lavoratori e rispondere ai loro bisogni.
Creare una «well – being culture». Il mondo del lavoro è chiamato, quindi, ad affrontare la sfida di supportare con iniziative concrete il benessere dei dipendenti. «È fondamentale il modo in cui i datori di lavoro affronteranno e gestiranno questo aspetto nei prossimi mesi perché avrà un impatto significativo sulla produttività e sulla loro fidelizzazione all’azienda» commenta Florent Lambert, ceo di Sodexo Benefits & Rewards Services Italia, «stiamo entrando in una nuova dimensione del welfare aziendale in cui il benessere complessivo della persona rappresenta una parte sempre più preponderante nella scelta del nuovo impiego. Assistiamo ad un nuovo concetto di «well-being culture» che, attraverso la creazione di programmi di assistenza dedicati e all’integrazione di benefit a supporto di tutti gli aspetti della vita della persona, spinge i datori di lavoro a scegliere servizi e partner sempre più innovativi e capaci di rispondere ad un ventaglio ampio di esigenze. La retribuzione non è più l’unico fattore decisivo nella scelta del posto di lavoro».
Empatia e gentilezza attraggono i migliori talenti. Le ricerche condotte dall’Università Popolare degli Studi di Milano e 4 M.A.N. spiegano quanto sia forte il potere anche di un semplice grazie. Il mercato del lavoro sta mutando e, nonostante il livello di disoccupazione sia ancora alto, dimettersi non fa più paura. Il desiderio di essere felici è spesso più forte di qualsiasi remora. Creare ambienti piacevoli, stimolare il senso di appartenenza e, soprattutto, assicurare un approccio empatico, sono elementi imprescindibili che possono seriamente cambiare il destino di un’azienda. 4 M.A.N. Consulting ha riscontrato che tra i dipendenti il 20% manifesta la volontà di cambiare lavoro a causa della mancanza di relazione interna all’ambiente lavorativo. Il 32% ritiene che la gestione umana del proprio superiore incida negativamente sulle proprie performance. L’87% pensa che i sistemi di incentivazione economica, in assenza di riconoscimento formale della relazione, siano nulli e non siano il fattore rilevante per le performance. Il 57% degli intervistati afferma che in presenza di gentilezza ed empatia si è maggiormente motivati a produttivi. Il 95% ritiene che alla base dei picchi di eccellenza c’è il rapporto “comprensivo” con il proprio capo ed i colleghi. L’università Popolare degli Studi di Milano ha evidenziato una produttività superiore del 68% nelle realtà in cui i rapporti interpersonali sono basati su gentilezza ed empatia rispetto a chi, invece, continua a mantenere un approccio più formale e distaccato tra colleghi, capi, sottoposti, clienti o fornitori. Da evidenziare, soprattutto, i dati relativi alla fiducia, che cresce del 75%, e della soddisfazione di chi lavora o collabora con quella specifica azienda, che segna un +93%. «Sono anni che il sistema di welfare aziendale si interroga su come si possano aumentare i livelli di benessere percepito, andando ad impattare positivamente su riduzioni drastiche di assenteismo, malattia e scarsa produttività» commenta Roberto Castaldo, presidente e fondatore di 4 M.A.N. Consulting,«eppure, ancora oggi, nonostante le evidenze, il concetto di felicità in azienda viene visto con diffidenza, anche se finalmente qualcosa sta cambiando». È ormai riconosciuto il valore aggiunto in tutta la parte di governance garantito dal “well-being management” e l’applicazione di sistemi incentivanti basati sulla leadership umanistica. «La ricerca condotta è fondamentale soprattutto se tiene conto dell’attuale scenario storico, sociale ed economico» sottolinea Marco Grappeggia, presidente Università Popolare degli Studi di Milano, «è facilmente comprensibile che la crisi portata dalla pandemia renda ora necessaria una buona dose di fiducia, nel datore di lavoro o nel fornitore. Una miglior qualità di vita all’interno dell’azienda rende possibile l’acquisizione e la fidelizzazione dei migliori talenti che sceglieranno spontaneamente di mettere a disposizione dell’azienda le proprie idee e competenze».
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