Nell’aprile 2010, un quarantenne che si trovava nei pressi della Stazione Centrale venne accompagnato all’Ospedale Fatebenefratelli per accertamenti, dopo aver avuto un mancamento.
L’uomo, sottoposto a sedazione dai sanitari, veniva lasciato per ore in corridoio – senza assistenza – in attesa di ricovero.
Il paziente cadde dalla barella e fu rinvenuto a terra, privo di sensi e con un gravissimo trauma cranico, che lo condusse al coma irreversibile e poi alla morte, dopo tre anni di calvario per lui e la famiglia.
Per fare luce sull’accaduto ed accertare le responsabilità nel decesso, i familiari della vittima agirono in giudizio, anche perché la direzione sanitaria dell’ospedale negò ogni responsabilità, rifiutando qualsiasi tipo di sostegno economico ai congiunti.
Di avviso diverso, invece, i consulenti nominati dal Giudice del Tribunale di Milano, i quali hanno definito “di solare evidenza” le responsabilità dell’Ospedale. In particolare, secondo quanto afferma una nota dello studio legale LML, i consulenti hanno accertato la negligenza dei sanitari per avere omesso di adottare ogni più basilare cautela per evitare la caduta del paziente, nonché dell’Ospedale, per non aver messo in atto nemmeno quelle strategie minime di prevenzione – specifica formazione del personale, adeguamento degli spazi, informazione del paziente – richieste dalle linee guida già in vigore all’epoca dei fatti.
“Fu ammassato in corridoio insieme agli altri”: questa l’ammissione di un infermiere, chiamato come testimone dalla difesa.
I legali della famiglia, gli avvocati Alessandro Lacchini e Christian Lopizzo, fondatori dello studio LML di Milano, specializzato nel risarcimento del danno alla persona, hanno così commentato: “L’Ospedale si è giovato del lungo tempo trascorso tra l’incidente e il deposito della sentenza, dovendo così corrispondere un risarcimento molto più contenuto ai familiari della vittima. Non certo volontariamente, sia chiaro: è tuttavia innegabile che, se le gravissime lesioni subite fossero state liquidate al paziente ancora in vita, il risarcimento del danno biologico sarebbe stato incomparabilmente superiore. Troppo spesso assistiamo a liquidazioni del danno tardive: se erogati tempestivamente, senza attendere che la macchina della giustizia faccia il proprio corso e, quindi, prima che il danneggiato perda la vita in conseguenza del danno subito, i risarcimenti sarebbero di gran lunga maggiori. Nel caso specifico, la sentenza ha riconosciuto per il danno da invalidità “temporanea” 80mila euro per i tre anni di coma che hanno preceduto il decesso del paziente, valutati in 90 euro al giorno, secondo i certamente rivedibili criteri attualmente in uso presso il Tribunale di Milano”.
L’invalidità è stata ritenuta temporanea, proprio perché circoscritta a un periodo di tempo determinato (seppur assai lungo, come in questo caso) e, dunque, da liquidarsi un tot per ogni giorno di sopravvivenza.
Se, al contrario, il riconoscimento delle palesi responsabilità fosse stato tempestivo e, dunque, col danneggiato ancora in vita, il calcolo del risarcimento avrebbe riguardato un’invalidità non più temporanea, ma permanente (per il resto della vita): tradotto in moneta, sulla base delle vigenti Tabelle di Milano 2021, 900 mila euro, per un uomo di 40 anni in coma irreversibile.
É innegabile come un sistema risarcitorio così strutturato possa, in linea teorica, prestarsi ad intollerabili speculazioni da parte dei responsabili i quali, più resistono, meno pagano.
Si consideri anche che, spesso, proprio la mancanza di un sostegno economico contribuisce in maniera decisiva ad aggravare il quadro clinico del danneggiato, impossibilitato a garantirsi le migliori cure e profondamente scoraggiato dal muro – apparentemente invalicabile – eretto dalle aziende sanitarie.