Il “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” ha pubblicato le sue proposte per avviare una riforma organica del settore della Long Term Care in Italia, volta a costruire un Sistema nazionale per l’assistenza agli anziani
Riprendiamo di seguito l’interessante articolo di Franca Maino, Marco Betti, Celestina Valeria De Tommaso pubblicato su Percorsi di Secondo Welfare.
La proposta di introduzione di un Sistema Nazionale per l’Assistenza agli Anziani non autosufficienti (SNA) presentata e discussa nelle scorse settimane dalle organizzazioni aderenti al Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, rappresenta un passaggio cruciale per la riarticolazione e il rafforzamento del nostro assetto di welfare.
Trattandosi di un intervento ambizioso dal punto di vista delle misure proposte, particolare attenzione dovrà quindi essere dedicata al tema del finanziamento. Ciò significa attirare l’attenzione sia sul ruolo del Pubblico sia sulla mobilitazione, potenzialmente molto rilevante, di risorse private.
Con l’intervento di oggi iniziamo quindi un percorso di approfondimento sul “Secondo Pilastro Integrativo” della Long Term Care (LTC) che vuole aprire la strada a un dibattito ragionato tra i diversi attori (studiosi, esperti del mondo previdenziale e assicurativo, soggetti della mutualità, del Terzo Settore, del mondo del welfare aziendale, oltre alle organizzazioni di rappresentanza degli interessi, sindacali e datoriali) che, da prospettive differenti, si occupano del tema e che quindi possono contribuire al confronto.
Lo SNA: le modalità di finanziamento
Il primo aspetto da mettere in evidenza riguarda il fatto che la proposta di introduzione del Sistema Nazionale per l’Assistenza agli Anziani si fonda sul finanziamento pubblico di livelli essenziali di carattere sociale (LEP) e sanitario (LEA), rivolti agli anziani non autosufficienti.
Se la natura pubblica rappresenta un elemento costitutivo della proposta di riforma avanzata dal Patto, allo stesso tempo, per il raggiungimento di tale obiettivo, è necessaria sia una riorganizzazione delle attuali fonti di finanziamento delle misure per la non autosufficienza (riguardanti le filiere delle politiche sanitarie, delle politiche sociali e delle prestazioni monetarie di carattere nazionale), sia l’individuazione di ulteriori interventi a carico della fiscalità generale.
Assieme al necessario ampliamento delle risorse da utilizzare diventa indispensabile una loro ricomposizione e riorganizzazione, così che si possa passare dall’attuale frammentazione ad un sistema integrato: non solo per la rete degli interventi che mette in campo ma anche per l’aggregazione delle risorse di cui può disporre.
A questo fine la proposta prevede anche l’introduzione di un “Secondo Pilastro Integrativo”, con funzione complementare e, appunto, suppletiva rispetto alle prestazioni assicurate dai livelli essenziali. Il “Secondo Pilastro” è quindi da intendersi ad integrazione del pilastro pubblico (il Primo) e, in generale, adotta una prospettiva complementare che, accanto alle già richiamate risorse provenienti dalla fiscalità generale, faccia ricorso a quelle di carattere privato, secondo un modello volto a garantire i principi di equità e solidarietà nell’accesso alle cure.
Il Secondo Pilastro Integrativo: i principi di base
Quanto ai principi di base, nella proposta presentata i Fondi Integrativi per la LTC adottano anzitutto logiche mutualistiche e solidaristiche, finalizzate alla tutela vitalizia dal rischio di decadimento psicofisico e di non autosufficienza. La proposta non si configura quindi come una copertura assicurativa individuale ma di natura collettiva, tramite la costituzione di fondi integrativi alimentati dai contributi versati dai soggetti coinvolti, che verranno restituiti sotto forma di rendita e/o sotto forma di servizi dal momento dell’accertamento dello stato di non autosufficienza.
L’adesione è basata sui principi della non selezione dei rischi e della non discriminazione nei confronti di particolari gruppi o soggetti mentre si prevede l’attivazione della copertura e il versamento dei contributi già in età attiva, con un logica continuativa e su base collettiva (quindi contrattata), così da trarre il massimo vantaggio da una solidarietà ampia, condivisa e generalizzata tra le diverse categorie e generazioni. A tal fine andrebbe prevista l’attivazione di forme di copertura anche per i lavoratori autonomi e per le altre forme di lavoro attualmente non ricomprese nei Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL), così come l’adesione di carattere individuale e volontario da parte di soggetti che si sono ritirati dal mercato del lavoro.
Inoltre, per andare incontro alle esigenze di un mercato del lavoro sempre più instabile, la proposta prevede la portabilità delle risorse accantonate in caso di modifica contrattuale mentre, per ridimensionare le possibili diseguaglianze derivanti dalla presenza di contratti di lavoro atipici, sono contemplati trasferimenti di carattere figurativo (e quindi a carico della fiscalità generale), a fronte di periodi di inattività e/o di disoccupazione.
Favorire l’integrazione tra i due livelli
Il SNA si dovrebbe configurare quindi come un sistema a due livelli. Da una parte, il Primo Pilastro, finanziato dal pubblico attraverso la fiscalità generale, punta alla ricomposizione di una normativa oggi frammentata e incompleta e definisce le risorse necessarie per sostenere le prestazioni universali (LEA e LEP) descritte nella proposta.
Il Secondo Pilastro, invece, finanzia prestazioni complementari (supplementare nel linguaggio adottato dall’OCSE), non rientranti nei LEA e LEP, e integrative, come ad esempio le quote residuali dei costi dei servizi (ticket) o prestazioni aggiuntive di quelle già erogate dai livelli essenziali (ad esempio, integrando il numero delle ore di Assistenza domiciliare integrata), contribuendo così al miglioramento delle condizioni di vita dei soggetti dal punto di vista sanitario, sociosanitario e sociale.
La questione della frammentazione di norme, prestazioni e risorse è oggi evidente nella separazione tra i servizi finanziati tramite risorse pubbliche (ed erogati dal settore pubblico o da gestori privati accreditati) e quelli invece del mercato privato in senso stretto, cioè quei servizi che richiedono per intero il pagamento da parte degli individui e delle loro famiglie (la c.d. spesa out-of-pocket che – secondo l’OCSE – nel 2020 raggiungeva il 21,1% della spesa pubblica sanitaria).
L’esito di questo approccio a “compartimenti stagni”, da un lato, ha finora ostacolato la possibilità che gli utenti ottenessero risposte complete e integrate a bisogni complessi e multidimensionali e, dall’altro, ha reso il sistema privato una nicchia, fruibile soltanto da quei pochi utenti in grado di sostenerne i costi, spesso estremamente elevati. Inoltre, a fronte di un peggioramento della qualità della vita dei soggetti e delle loro famiglie, la mancata disciplina organica della spesa privata ha contribuito ad erodere una parte delle risorse accantonate sotto forma di pensioni e risparmi, alimentando oltretutto una crescente diseguaglianza sociale e territoriale.
La ricomposizione delle risorse e delle prestazioni, insieme alla previsione di un Primo Pilastro che definisca LEA e LEP sul quale si innesti un Secondo Pilastro, mirano quindi al superamento di queste criticità.
Centralità della spesa pubblica, mobilitazione di risorse private
Se, come abbiamo visto, la centralità del finanziamento pubblico non viene messa in discussione (anzi, viene ribadita dal Patto), l’attuale livello di spesa pubblica e privata per prestazioni legate alla non autosufficienza e il loro possibile incremento futuro, in seguito al consolidarsi del fenomeno dell’invecchiamento demografico, rendono necessaria – ai fine della sostenibilità del sistema – la predisposizione anche di un Secondo Pilastro da affiancare al sistema basato sui livelli essenziali sanitari e sociali.
In questo senso, le prestazioni di LTC devono essere inquadrate in una prospettiva di medio-lungo periodo e con un approccio flessibile, legato al verificarsi del bisogno. Non tutti i soggetti presentano infatti gli stessi livelli di non autosufficienza e non tutti i soggetti diventano non autosufficienti alla stessa età. È quindi necessario ragionare secondo una logica di condivisione, che aiuti le persone che hanno più bisogno o che diventano non autosufficienti prima, attraverso l’integrazione di risorse private provenienti da una platea ampia e in età attiva.
In questo senso, il Secondo Pilastro prevede un accantonamento dei capitali all’interno di un modello solidaristico, esito della contrattazione e quindi collettivo, differenziandosi così dal c.d. Terzo Pilastro, che si basa su una logica assicurativa, di natura privatistica e legata al rischio.
Quanto alla gestione delle risorse, l’assenza di fini lucrativi, la natura solidaristica, la presenza di una governance basata sulla partecipazione democratica dei soggetti coinvolti e la trasparenza rappresentano elementi che possono facilitare sia il contenimento dei costi sia la condivisione di una cultura della mutualità.
Un gioco a somma positiva
Il modello presentato rappresenta un gioco a somma positiva, capace di valorizzare l’impatto delle risorse pubbliche attraverso l’integrazione sinergica di quelle private. All’interno di questo scenario, emergono inoltre altri tre elementi di riflessione che, se opportunamente definiti e sostenuti, possono generare ulteriori ricadute positive per il sistema nel suo complesso.
Anzitutto, la presenza di un Secondo Pilastro può contribuire a creare un sistema di servizi qualificati, favorendo la crescita e il consolidamento di nuova occupazione in servizi altamente professionalizzati e non de-localizzabili nel settore dei servizi sanitari, sociosanitari e socioassistenziali. In questa prospettiva, le risorse accantonate potranno essere trasferite ai beneficiari prevalentemente sotto forma di servizi (in-kind) e non esclusivamente attraverso erogazioni monetarie (in-cash).
In secondo luogo, la natura mutualistica e solidale può contribuire a contrastare le diseguaglianze sociali oggi presenti. Quello della non autosufficienza è infatti un rischio che riguarda tutti i cittadini, sebbene con intensità e forme diverse durante il percorso di vita. In questo contesto, un’adeguata previsione di risorse integrative permetterà di poter meglio sostenere – nel medio-lungo periodo – i costi della sfida dell’invecchiamento.
Senza un approccio integrativo e solidaristico, basato sulla logica di una mutualità ampia e condivisa, il rischio è quello che i soggetti più deboli sul mercato del lavoro (come i lavoratori con salari più bassi o con carriere professionali discontinue e, quindi, scarse tutele) rimangano esclusi da forme di intervento complementari e integrative, che possono contribuire a migliorare sensibilmente la qualità della vita delle persone non autosufficienti.
In assenza di un “Secondo Pilastro”, infatti, questi soggetti hanno soltanto due opzioni: decidere, nell’indisponibilità di risorse proprie o risparmi, di non accantonare nessuna risorsa per la non autosufficienza oppure rivolgersi in maniera individuale agli intermediari assicurativi (Terzo Pilastro). In entrambi i casi, il rischio è quello di un futuro aumento delle diseguaglianze sociali e territoriali legato al fatto che i soggetti economicamente vulnerabili rimangono di fatto esclusi dalla copertura integrativa della non autosufficienza.
Infine, la previsione di risorse da accantonare in maniera volontaria può favorire la prevenzione e la responsabilizzazione di lavoratori/lavoratrici. Incentivare – fin dall’ ingresso nel mercato del lavoro – le persone a destinare una parte delle risorse alla copertura del rischio di non autosufficienza consente infatti di accrescere la consapevolezza dei rischi legati a una fase cruciale del ciclo di vita (la vecchiaia e la successiva non autosufficienza), spesso sottostimata poiché percepita come temporalmente “distante”.
Allo stesso tempo, la scelta di destinare contributi individuali permette di tenere alta l’attenzione sia rispetto alla sostenibilità dei costi degli interventi per la LTC sia nei confronti del tema delle risorse pubbliche necessarie: aspetti rimasti fino ad oggi marginali nel dibattito politico. A livello individuale, infine, la consapevolezza dei rischi e dei costi della non autosufficienza potrebbe favorire una crescente responsabilizzazione nell’ambito della prevenzione e delle determinanti di salute.