di Gigi Giudice
Otto marzo, festa della Donna.
Gabriella Carmagnola, che ha appena lasciato la carica di responsabile della comunicazione e relazioni esterne dell’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicurative, è protagonista di un caso. Che in un paese come l’Italia dove la differenza di genere colloca il genere femminile in grave posizione rispetto al dominio patriarcale, è un caso che merita di essere citato anche come esempio di “una su mille ce la fa”.E che merita di essere raccontato, perché Gabriella ha vissuto, con garbo e in diretta, dal particolare osservatorio della confindustria assicurativa, i forti cambiamenti del settore negli ultimi trentanni.
Prendete Jacques Derrida, Gilles Deleuze, Julia Kristeva o lo stesso Jacques Lacan, senza dimenticare Pierre Klossovsky. “Se leggete le loro frasi velocemente suonano bene, Il rimedio è leggerle lentamente. Riconoscerete così meravigliosi paradigmi delle stronzate “E’ una affermazione del filosofo inglese Gerald A. Cohen. Critica feroce. Esercitata a distanza di almeno quarant’anni da che Jacques Derrida e i philosophes della scuola di Parigi mietevano unanimi applausi dall’ala marciante della cultura internazionale. Erano brillanti e charmants, secondo il canone caratterizzante ogni artefatto prodotto dai nostri cugini.
Ribelle, spontaneo, dalla scrittura “calda” e non conformista, antiautoritario si dichiarava Derrida, il leader dei nouveaux philosophes. Spesso cadendo, purtroppo, nella retorica e perfino nella esagerazione. “Da Palatone fino a Heidegger, ovvero l’intera tradizione filosofica occidentale coincidente con la storia della metafisica – sosteneva – svaluta il segno scritto e privilegia il segno orale. Secondo tale tradizione la parola è legata alla presenza, mentre la scrittura è legata all’assenza.
Non poteva non affascinare la allora giovanissima Gabriella Carmagnola, nata nella Torino impregnata della cultura laica, di Piero Gobetti e della scuola di pensiero (Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Franco Antonicelli, Massimo Mila, Norberto Bobbio, lo stesso Giulio Einaudi che sarebbe diventato l’editore di punta) poco conforme ai dettati autarchici propri dell’Italia che si era lasciata egemonizzare dal fascismo. Importante sapere che il padre Piero, a 19 anni, era stato partigiano nelle brigate “Garibaldi”, autore di un diario (che fu pubblicato nel 1945, pochi mesi dopo la Liberazione e riedito con il titolo “Vecchi partigiani miei” nel 2005 ) in cui sono annotati i fatti delle giornate della lotta contro i nazifascisti.
Uscita dal liceo classico, sceglie di iscriversi alla facoltà di filosofia teoretica all’Università di Torino, avendo Gianni Vattimo fra i docenti di riferimento. Vattimo era figura nota di pensatore ispirato alle teorie di Nietzsche e Heiddegger, affermato come teorizzatore del pensiero debole ( come utopistica fonte generatrice di democratizzazione della società, di diminuzione della violenza, di diffusione del pluralismo e della tolleranza). Con Vattimo come relatore Gabriella discusse la tesi di laurea “La concezione della verità nella filosofia contemporanea. “ Un argomento di difficoltà da sesto grado superiore, affrontato impavidamente, meritandosi la massima votazione. E la lode.
Entrata nel mondo del lavoro, assunta dalla prestigiosa società chimica: la Du Pont de Nemours, le assegnano il ruolo di External Affaires Manager in Italia, avendo l’opportunità di frequenti soggiorni professionali negli Stati Uniti, sia presso la casa madre a Wilmington (nello stato del Delaware), sia alla sede centrale europea a Ginevra.
Ha quindi assunto l’incarico di responsabile, in Italia, delle relazioni con i media e delle attività editoriali della Dow Chemical. Altra protagonista dell’industria chimica, impegolata in aggregazioni di imprese del polo chimico del nostro Paese. Da qui la necessità di ricorrere all’apporto della Carmagnola, oltre che nell’opera di adeguamento di due diverse “culture” del lavoro, soprattutto per gli aspetti connessi alla comunicazione.
E’ stata anche capace di avviare una esperienza “sul campo” come pubblicista nella redazione cultura de “Il Giornale”diretto da Indro Montanelli.
Nel contempo si è cimentata nella comunicazione d’impresa (di cui è stata docente presso l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia), entrando a occuparsi di una serie di progetti e iniziative come la partecipazione italiana all’America’s Cup e alla sponsorizzazione del Teatro alla Scala di Milano.
Nel 1991 ha accettato l’incarico per cui si merita di entrare nella hall of fame dei personaggi del mondo delle polizze.
Fanno infatti quasi trent’anni da che è stata chiamata a rivestire il ruolo di responsabile delle attività di comunicazione e relazioni esterne della Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici e Riassicuratrici.
Un incarico difficile. Il settore è dichiaratamente misogino e lei è la prima donna a ricoprire il ruolo delicatissimo di portavoce delle ragioni dell’assicurazione. Affrontando un contesto che vede il sistema chiamato a fare i conti – oltre che con l’atavica diffidenza degli italiani a tutelarsi: guai a pensare di trasferire i rischi della vita quotidiana alle compagnie! – con la crescita del movimento consumatori. Movimento che mette alle strette le modalità con cui i testi delle polizze vengono redatte, la trasparenza delle garanzie offerte, evidenziando le disfunzioni dei servizi ai cittadini.
Il luogo comune delle polizze dichiarate incomprensibili, oltre che per il linguaggio (giuridichese-assicurese), di essere scritte in caratteri minuscoli (corpo 8), è difficile da smontare di fronte ai consumeristi.
Se la memoria non tradisce, proprio in quei primi anni Novanta è Giorgio Caprioli, amministratore delegato de “La Previdente” a far pubblicare un corposo vademecum divulgativo, guardacaso dal titolo: “Corpo 11”. Destinato a superare le diffidenze del pubblico.
Alla presidenza dell’Associazione fra le Imprese Assicuratrici trova Enrico Tonelli. Nel colloquio per l’assunzione – cui assiste anche l’amministratore delegato Claudio Reichilin – Gabriella si sente in dovere di sottolineare di essere una donna. Per renderli edotti del fatto che la differenza di genere potrebbe essere accolta come handicap in un settore che non conta neppure un dirigente di sesso femminile.
Le pareva di cogliere infatti certe perplessità di Tonelli, personaggio autorevole che non proveniva dai vertici di una grande compagnia, come tradizionalmente era sempre avvenuto, ma dalla gavetta: impiegato, quindi funzionario e infine dirigente all’interno dell’associazione stessa. Per giunta schivo di carattere. Ostacolo superato in fretta.
Gabriella acquistò coraggio e seppe interpretare al meglio come porsi nel dialogo con i giornalisti (ancora non c’erano i media digitali), contando sull’appoggio e l’esperienza di conoscitore dei labirinti del settore di Pier Carlo Romagnoli ormai quasi ottuagenario, che di Ania era stato presidente dal 1977 al 1984.
Quando nel 1993 la presidenza toccò a Antonio Longo non fu semplice coniugare la necessaria stringatezza comunicazionale con le elucubrazioni tipiche di un attuario che si era affermato ai vertici dell’Ina (nomina imposta da Romano Prodi, ministro dell’industria nel 1978) riuscendo a sollevare le sorti di un ramo vita in stato comatoso per via dell’inflazione salita a due cifre alla metà degli anni Settanta.
Più empatica e fu la collaborazione, tra il 1997 e il 2002, con una delle figure di più alto spessore del settore: Alfonso Desiata. Il quale ebbe in sorte di essere eletto (a sorpresa) alla presidenza delle Generali in quegli stessi anni in cui guidava l’Ania. Negli incontri con la stampa aveva la capacità di bypassare le eventuali controversie ricorrendo a citazioni spiazzanti. Magari ai numeri di Fibonacci, o ai saggi di Fernand Braudel, o al confronto tra capitalismo e linguaggio rifacendosi ai dialoghi delle camminate sul Carso con Claudio Magris.
Gabriella, quasi per induzione, riesce nello stesso periodo a dare sfogo a certa sua vocazione per la scrittura facendo riferimento anche ai suggerimenti di Serena Foglia, psicologa e scrittrice, arrivando a pubblicare, nel 1999, un romanzo: “L’inganno”. Filo conduttore – si legge sul risguardo di copertina (in cui è riprodotto “Pubertà” un dipinto di Munch) “l’amore: negato e vissuto, sofferto e gioito, trovato e perduto; l’amore per il padre, che domina la scena insieme all’io narrante…”.
Un dash di un momento. Incombe pur sempre l’impegno con quanto l’Ania va proponendo in sempre più frequenti campagne pubblicitarie. Alla ricerca della chiave giusta per sensibilizzare – oltre che sull’attenzione alla guida -soprattutto sul “secondo pilastro” e sulla previdenza garantita dalle polizze vita. Superando certo andamento togato e puntando persino a emozionare, con riferimenti a situazioni alla James Bond- Goldfinger e a “épater le bourgeois”. Nel passaggio dal vecchio al nuovo millennio, con campagne shock affidate all’anticonformismo provocatorio di Oliviero Toscani.
“Pugno di ferro in guanto di velluto” è la nomea che si porta dietro, provenendo dai vertici delle Generali, Fabio Cerchiai. Nominato nel 2003, la sua opera, come presidente Ania ha ottenuto apprezzamenti unanimi e per vederlo riconfermato nel ruolo si arrivò a modificare lo statuto dell’Associazione. L’incarico gli venne così prolungato fino al 2011. Tali doti di negoziatore convincente messe in mostra. In particolare nel trasferimento dalla sede storica milanese di piazza San Babila, a Roma in quella via della Frezza dove era stata ri-costituita l’Ania nel giugno1944, alla liberazione di Roma. Citerei anche la capacità di contrasto con il sindacato agenti sull’Accordo economico, dopo la riforma Bersani.
Il 2011 è l’anno del centocinquantenario dell’Unità d’Italia. L’Ania – con la supervisione del direttore generale Paolo Garonna – edita la corposa monografia “Assicurare 150 anni di Unità d’Italia: il contributo delle assicurazioni allo sviluppo del Paese”. Momento topico, che comporta un tourbillon di presentazioni pubbliche e una moltiplicazione di sollecitazioni riguardo alla sottolineatura del ruolo dell’assicurazione.
A Aldo Minucci, già presidente di Genertel, sono valsi i quarant’anni di carriera alle Generali per guadagnarsi la gratificazione come presidente Ania nel triennio 2011-2014. Anni non facili, funestati dal protrarsi della crisi della bolla speculativa partita nel 2008 con il crack Lehman Brothers.
Con Maria Bianca Farina – che si è guadagnata la nomina avendo dato mostra del suo valore con i risultati raggiunti ai vertici di Poste Vita – siamo arrivati alla prima volta di una donna alla presidenza dell’Associazione delle compagnie assicurative. “Sono sempre stata scelta perché facevo seriamente il mio lavoro” spiega lei stessa le ragioni delle sue affermazioni. E gli assicuratori che l’hanno chiamata a condurre la loro associazione non lesinano apprezzamenti. Dopo averla riconfermata e constatato come sia stata portatrice di un’aria nuova, interpreta al meglio il momento clou nelle celebrazioni del 75esimo anniversario dell’Associazione (con tanto di emissione di francobollo commemorativo). Daniel Pennac disse, mi pare al Festival della Letteratura di Mantova: “Ciò che Dio non può fare, una donna, a volte, riesce a farlo!”
Figuratevi due.
Gabriella Carmagnola, sempre più determinata, elegante, dalla collaborazione con Maria Bianca Farina trae opportunità nuove. Meno laboriosa la fatica di aprire finestre nelle relazioni con i giornali e le televisioni. “Come cambia la comunicazione tra vecchi e nuovi media” è il titolo di uno speech in cui Gabriella si diffonde sulle nuove frontiere del comunicare. Lasciando spiragli anche al futuro della carta stampata, se è vero che Jeff Bezos, patron di Amazon, grazie alla quale possiede un patrimonio di 200 miliardi, ha acquistato il Washington Post. In Italia, Carlo Debenedetti, si rimette in gioco come editore del nuovo quotidiano “Domani”.
Superato il duro periodo del lockdown Gabriella, “la figlia del partigiano Piero”, può far valere ancora meglio l’esperienza unica di trent’anni a battersi per la buona assicurazione. Insieme a Maria Bianca Farina, naturalmente. “La vera religione universale proviene dalle donne, più che dagli uomini. Sono loro che custodiscono la chiave delle nostre anime nei loro cuori”. Non è certo Jacques Derrida, ma Oliver Wendell Holmes (andate a vedere chi è, naturalmente su YouTube). E non si può non assentire.