Nelle ultime settimane Barclays e SocGen hanno mosso passi decisi sul mercato tricolore per farsi largo nella gestione dei grandi patrimoni. Effetto di Brexit, ma anche delle agevolazioni fiscali per i più ricchi. E altri player mettono nel mirino il Paese
di Paola Valentini
Nelle ultime due settimane Société Générale e Barclays hanno annunciato l’ingresso nel mercato italiano del private banking e altre starebbero valutando di aprire nel Paese. Mosse che avrebbero fatto già notizia in tempi normali, ma spiccano ancor di più perché realizzate in piena pandemia. Segno che, nonostante le difficoltà economiche del momento, le private bank estere, vedono molte possibilità di business nel segmento delle gestioni d’alta gamma. Anche se il mercato è già molto presidiato dagli operatori italiani, che si fanno un’accesa concorrenza a suon di reclutamenti di banker, evidentemente le stime alla base dei business plan degli esteri indicano che ci sono spazi per una ulteriore crescita. D’altra parte la fetta non ancora servita è ampio. In base ai dati dell’Aipb (Associazione italiana del private banking) i portafogli gestiti in Italia dalle private bank sono pari a 908 miliardi di euro (dati a fine 2020), a fronte di una situazione in cui in Italia le famiglie benestanti sono circa il 4% dei nuclei registrati dall’Istat e la ricchezza finanziaria investibile è pari a 1.150 miliardi. C’è quindi un gap di 250 di miliardi non ancora coperto dai servizi di private banking. In base agli ultimi dati di Magstat a fine 2020 gli operatori esteri presenti sul mercato italiano del private banking erano 31, stabili rispetto a fine 2019 per via, da una parte, dell’ingresso a marzo scorso del gruppo Vontobel (Vontobel Wealth Management sim) rientrato in Italia dopo che aveva già operato qui dal 2008 al 2013, e dall’altra della chiusura dell’attività di Lgt Italia Sim (gennaio 2020). Nel 2019 (+2 unità da fine 2018) aveva aperto Citi Private Bank e nel 2018 (29, +3 unità sul 2017) sono approdate in Italia due banche svizzere: Union Bancaire Privée e Notz Stucki Europe. Secondo l’analisi di Magstat le private bank straniere detengono masse pari 226 miliardi e dispongono di 2.746 private banker distribuiti in 208 uffici dedicati che seguono oltre 264 mila clienti. Alcuni sono presenti con più strutture come Deutsche Bank, Bnp Paribas e Crédit Agricole (tabella in pagina). Le più rappresentate, sono le banche svizzere: in tutto 16, dai noti gruppi come Ubs o Credit Suisse fino a nomi meno popolari come Notz Stucki o Alisei Sim. Seguono le francesi (16), le americane (3), poi gli operatori di Austria, Germania, Malta e Regno Unito (2), ultimo il Lussemburgo (1). Con i due nuovi ingressi di questo inizio 2021, il numero degli esteri sale a 33, in netto aumento rispetto ai 24 del 2016 quando c’era stato il punto minimo del trend discendente partito dopo la grande crisi del 2008. Nel 2007 il numero aveva raggiunto le 39 unità, poi lo tsumani che investì le grandi banche internazionali determinò una revisione dei business di molte di loro a livello globale, con impatti anche sul private bank italiano che ha avuto una drastica inversione di tendenza con un calo del numero di operatori per quasi una decina d’anni fino al punto di svolta del 2016-2017.
A determinare la ripresa è stato senza dubbio l’effetto Brexit che ha spinto alcuni operatori prima presenti nel Regno Unito a operare direttamente dell’Italia. E’ il caso di Citi Private Bank, che è tornata nel Paese nel 2019 dopo averlo abbandonato nel 2009 per servire gli italiani da Londra. La banca Usa è andata a rimpolpare la schiera dei player statunitensi rimasti in Italia, ovvero Jp Morgan e Goldman Sachs, dopo che nel 2008 Lehman Brothers aveva venduto a Nomura la propria struttura italiana. Altre due sono state le uscite illustri nel post-crisi del 2008: le statunitensi Morgan Stanley e Merrill Lynch. Nel 2013 il private wealth management europeo di Morgan Stanley è passato sotto il controllo di Credit Suisse. E a fine del 2014 Merrill Lynch (rilevata nella crisi del 2008 da BofA) ha cessato l’attività di private banking in Italia. L’ultima ad abbandonare il Paese è stata Schroders Italy Sim (attiva dal 1997), passata a Banca Patrimoni Sella & C. nel febbraio 2018.
Ma ora lo scenario è cambiato e se non ci fosse stato il Covid probabilmente il numero di player in rotta sull’Italia sarebbe stato anche superiore nel post Brexit. Oltre a Barclays e Société Générale, rumor recenti di mercato segnalano che potrebbero aprire in Italia Bank J. Safra Sarasin, Quintet Private Bank e One Swiss Bank. Come per Citi, anche per Barclays si tratta di un ritorno: nel 2013 il gruppo chiuse Barclays Wealth. La banca inglese ha affidato le attività del mercato tricolore al responsabile Carlo Baronio (intervista qui accanto) e la sede è negli uffici milanesi di Barclays corporate e investment bank. Invece Société Générale ha trasformato l’ufficio di rappresentanza di Milano aperto nel 2017 in succursale per il private banking (dipende dal Lussemburgo) che continua a essere guidato da Alessia Manghetti.
Oltre agli effetti dell’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, l’Italia è nel mirino per la massa di risparmio che detiene e che in questa fase necessità di una gestione sempre più diversificata e attenta alle potenzialità dei nuovi segmenti di mercato dati i tassi ai minimi che impongono una costruzione dei portafogli più strutturata. Qualunque sia il percorso economico del post-Covid resta comunque il fatto che, secondo il report di Boston Consulting Group «Global Wealth 2020: The Future of Wealth Management», le private bank avranno affrontare una sempre maggiore pressione sia sul fronte della generazione dei ricavi, sia per quanto riguarda la base dei costi.
Dal canto suo il Global Wealth Report 2020 del Credit Suisse stima che l’Italia sia sesta per numero di Paperoni con un patrimonio da un milione di dollari in su: in totale 1,55 milioni. E lo studio colloca il Paese al settimo posto nel mondo per l’aumento del numero di persone con un disponibilità di oltre 50 milioni di dollari: nel 2019 sono saliti di 376 unità a quota 2.775, una pattuglia che il Covid ha scalfito marginalmente dato si è registrato un calo di solo cinque unità nel primo semestre 2020, peraltro in linea con quanto si è visto a livello globale con una riduzione di 122 unità a 175.566, dopo i 16.759 ricchi in più del 2019. In base alle analisi di Ubs e Pwc, in Italia il numero dei miliardari alla fine dello scorso luglio era salito a 40 rispetto ai 36 di fine 2019, anche se ancora sotto rispetto ai 43 del 2015. Il totale della ricchezza dei miliardari in Italia è diminuito del 12% nel 2019, a 125,6 miliardi di dollari Usa. Nei mesi tra aprile e luglio 2020 la ricchezza è tornata ad aumentare del 31%, a 165 miliardi di dollari. Sempre a luglio le disponibilità totali possedute dai miliardari nel mondo sono salite a 10,2 mila miliardi di dollari, oltre il picco di 8,9 mila miliardi di dollari di fine del 2017. Ora ci sono 2.189 miliardari a livello globale, erano 2.158 nel 2017.
Dallo studio emerge che i miliardari hanno fatto buoni affari durante la crisi del Covid-19. Il loro segreto? Una maggiore propensione al rischio che li ha portati ad acquistare azioni mentre i mercati affondavano e a rivenderle al rialzo compensando rapidamente le perdite. Se i portafogli dei super ricchi hanno recuperato meglio degli altri grazie a una maggiore esposizione alle azioni, in Italia la creazione di nuovi Paperoni è stata favorita anche dalla tassa fissa da 100 mila euro sui grandi redditi introdotta nella Legge di Bilancio del 2017. In base alle statistiche dell’Agenzia delle Entrate, nel 2019 sono stati 421 i milionari che hanno portato la propria residenza in Italia attirati da questa misura, quattro volte in più rispetto ai 99 del 2017, l’anno del debutto del provvedimento. Come spiega il ministero dello sviluppo economico, la Legge di Bilancio per il 2017 ha introdotto numerosi interventi volti a incrementare l’attrazione del Paese per i flussi di capitale umano e finanziario. Il provvedimento ha una misura di rilievo per gli interessati al programma Investor Visa for Italy: una fiscalità agevolata per cittadini esteri a elevata capacità contributiva che trasferiscono la residenza in Italia. La legge consente ai neo-residenti di corrispondere, per l’intero reddito generato fuori del territorio italiano, una cifra annua forfettaria di 100 mila euro, in sostituzione a quanto dovuto secondo la normativa ordinaria.
Il mercato italiano ha quindi più motivi di interesse e l’analisi di Magstat ha censito anche le private bank sulla base del modello di remunerazione dei banker (tabella in pagina). «Se suddividiamo i 125 operatori specializzati nel private banking, seguiti nella nostra indagine annuale, sulla base del tipo di inquadramento riservato ai propri private banker si possono individuare 24 operatori che dispongono sia di figure remunerate a provvigione sia a dipendenza, 16 che utilizzano solo il primo modello e 85 che si affidano al secondo. Ma i private banker remunerati esclusivamente a provvigione sono in continua e inesorabile crescita», conclude Marco Mazzoni, fondatore di Magstat. (riproduzione riservata)
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