Pagina a cura di Antonio longo
Le aziende familiari con fatturato superiore ai 20 milioni di euro sono pari al 65,6% del totale delle imprese operanti in Italia; dal 2010 il loro tasso di crescita è stato superiore rispetto a quello degli altri tipi di aziende non familiari. E quelle con un fatturato maggiore di 50 milioni di euro sono passate dalle 4.251 del 2007 alle 5.086 del 2018. Ma il 29% delle imprese familiari italiane è gestito da un imprenditore di età superiore ai 70 anni, quindi sarà costretto ad affrontare il ricambio generazionale nei prossimi anni. È quanto emerge dalla lettura della XII edizione dell’Osservatorio Aub «Le imprese familiari italiane di fronte alla pandemia Covid-19», promosso da Aidaf – Associazione italiana delle aziende familiari, cattedra Aidaf-EY di Strategia delle Aziende Familiari – Università Bocconi, UniCredit e Cordusio, con il supporto di Borsa Italiana, Fondazione Angelini e Camera di commercio di Milano, Monza Brianza, Lodi. A livello globale, secondo i dati elaborati dal Family firm institute, in moltissimi casi le aziende familiari prosperano per decenni, o addirittura per centinaia di anni, in generale il 30% sopravvive al fondatore, il 13% arriva alla terza generazione, il 4% approda alla quarta generazione o successive. Fra le prime 100 aziende più antiche al mondo, 15 sono italiane e, tra queste, 5, ossia Fonderie Pontificie Marinelli (anno di fondazione 1000), Barone Ricasoli (1141), Barovier & Toso (1295), Torrini (1369) e Marchesi Antinori (1385), sono tra le dieci aziende familiari più antiche tuttora in esercizio.
Da padre in figlio, ma non senza problemi. Le imprese familiari costituiscono un mosaico diversificato. Possono coesistere anche più nuclei familiari all’interno della compagine, può esservi o meno la presenza di familiari nella governance o nel controllo del capitale sociale. In base ai dati contenuti nel report, il fatturato complessivo delle maggiori aziende familiari del Belpaese supera la soglia dei 730 miliardi di euro e garantisce occupazione a circa 2,4 milioni di lavoratori. In tema di posti di lavoro, le imprese a proprietà familiare hanno fatto registrare un +20,1% negli ultimi sei anni, seguito dal +14,4% delle cooperative e consorzi, il +5,7% delle filiali di imprese estere, il +1,4% delle coalizioni, il -8,7% delle imprese controllate da fondi e il -12,3% delle imprese ed enti statali. E crescono più delle altre tipologie di aziende con un +47,2% negli ultimi dieci anni, contro il 37,8% delle altre imprese. Manifestano anche una redditività più alta con un Roi del 2016 al 9,1% contro il 7,9% di altre forme societarie e hanno un rapporto di indebitamento più basso. Le aziende familiari rappresentano numericamente circa quasi il 60% del mercato azionario italiano, che vede quotate complessivamente circa 290 aziende, e pesano per oltre il 25% della sua capitalizzazione. Ma da senior a junior, i passaggi generazionali nell’impresa nascondono spesso nodi e conflittualità di carattere tecnico (giuridico, fiscale), aziendale (di organizzazione, conoscenza ed esperienza) ed emotivo, che vanno gestiti con la dovuta attenzione. Non mancano, quindi, le controversie. Secondo gli esperti, per prevenire possibili nodi, è necessario che la famiglia coltivi valori e cultura da «proprietà responsabile», mantenga una visione ampia e di lungo periodo, pianifichi per tempo, gestendo il cambiamento e gli imprevisti, comunicando, ascoltando e comprendendo. Spesso può essere opportuno coinvolgere «attori terzi» competenti e di fiducia, che siano in grado di comprendere il sistema famiglia – proprietà – impresa, valutando i segnali deboli e rimanendo super partes per garantire riservatezza e mantenere un rapporto e una comunicazione franca e costante, favorire il confronto su alternative e soluzioni possibili, senza decidere al posto della famiglia (si veda altro articolo in pagina). Dal punto di vista prettamente giuridico e fiscale, i principali strumenti per pianificare e disciplinare il passaggio di consegne delle imprese tra genitori e figli sono il testamento o il legato, la donazione, il patto di famiglia, la riorganizzazione societaria attraverso operazioni di fusione, scissione e trasformazione, il trust.
Alla prova della pandemia. Dalla lettura del rapporto si evince che in base all’analisi dei prezzi di borsa nel 2020 le aziende familiari hanno registrato una performance azionaria superiore del 22,3% rispetto alle aziende non familiari. Inoltre, partendo da una diffusione dell’utilizzo dello smartworking più ridotta, 25% contro 43%, sono giunte all’85% contro il 93% delle non familiari. Anche se in termini di organizzazione del lavoro presentano qualche ritardo, hanno mostrato una capacità di reazione più elevata. Si riscontra una forte similarità tra le imprese familiari e non familiari sia con riferimento ai protocolli di sicurezza messi in atto per garantire la continuità aziendale sia con riferimento alla percentuale di imprese che si sono dotate di piattaforme di e-commerce prima o durante i mesi successivi allo scoppio della pandemia.
Le imprese familiari nel mondo. Anche nelle principali economie mondiali le imprese familiari rappresentano il fulcro dello sviluppo economico e sociale. Le stime indicano che le imprese a controllo familiare rappresentino più del 90% di tutte le imprese attive nel mondo. Sotto il profilo dell’incidenza delle aziende familiari, il contesto italiano risulta essere in linea con quello delle principali economie europee quali Francia (80%), Germania (90%), Spagna (83%) e Uk (80%), mentre l’elemento differenziante rispetto a tali realtà è rappresentato dal minor ricorso a manager esterni da parte delle famiglie imprenditoriali: il 66% delle aziende familiari italiane ha tutto il management composto da componenti della famiglia, mentre in Francia questa situazione si riscontra nel 26% delle aziende familiari e in Uk solo nel 10%.
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