Dopo il blitz di Caltagirone Del Vecchio potrebbe presto salire ancora nel capitale. Ma resta il nodo dell’influenza sulle Generali. La partita sul nuovo cda e i rumors su un rafforzamento in Unicredit
di Luca Gualtieri
Il blitz di Francesco Gaetano Caltagirone in Mediobanca ha riportato sotto i riflettori la Galassia del Nord, in vista del rimescolamento di poteri che dovrebbe occupare i prossimi mesi. Ieri in particolare l’attenzione dei mercati è tornata a concentrarsi sulle mosse di Leonardo Del Vecchio, che da 18 mesi a questa parte sta progressivamente incrementando la partecipazione in Piazzetta Cuccia. L’annuncio di nuovi acquisti da parte di Delfin (oggi attestata al 13,2%) è atteso in tempi brevi, in linea con la strategia seguita finora da Mister Luxottica. La holding, si mormorava ieri nelle sale operative, potrebbe spingersi oltre il 14% per arrivare sotto la soglia del 20% entro la fine dell’anno. Questo è il limite fino al quale Del Vecchio può spingersi in ottemperanza agli accordi presi con la Bce. Già oggi peraltro la quota di Delfin è al di sopra di quella dell’accordo di consultazione che raggruppa le partecipazioni di Mediolanum (3,3%), Benetton (2,1%), Fininvest (2%), Finpriv (1,6%) e altri. Se insomma la holding ha già un peso rilevante nell’azionariato della merchant bank, occorre ricordare che le sue iniziative sono soggette a limitazioni stringenti. A seguito del lungo assessment dello scorso anno, Delfin è stata qualificata come investitore finanziario, soggetto cioè che -pur prendendo parte alla vita societaria della partecipata- non è interessato a esercitare funzioni di controllo. Quello del controllo è tema controverso. Non solo perché le linee guida europee sull’acquisizione di qualifying holdings lasciano spazio a scelte discrezionali, ma anche perché ogni vicenda fa storia a sé. Molto conta l’assetto proprietario della partecipata, cioè ad esempio il fatto che si tratti di public company o di controllata ad azionista unico. Mediobanca oggi è qualcosa di assai simile al primo caso, visto che quanto resta dell’accordo di consultazione tra i grandi soci vincola in maniera assai blanda appena il 12,6%, mentre il retail detiene circa il 25% delle quote e il resto del capitale è in mano a investitori istituzionali italiani e soprattutto esteri. A complicare ulteriormente il quadro è la storica partecipazione in Generali (12,8%), che, pur non costituendo controllo di fatto (lo ha escluso l’Antitrust nel provvedimento del 2018), resta decisiva per la governance della compagnia. In una catena societaria del genere, una piccola quota è sufficiente non solo a condizionare la merchant bank ma anche, con formidabile effetto leva, a influire sulla strategia della compagnia triestina.
Che il Leone sia l’obiettivo delle iniziative di Del Vecchio e Caltagirone è del resto fuor di dubbio. Se il cda presieduto da Gabriele Galateri è entrato nell’ultimo anno di mandato, i grandi soci hanno iniziato a posizionarsi in vista della scadenza. La richiesta di discontinuità c’è, ma non è detto che si è arrivi allo scontro. Non solo perché il vertice di Mediobanca potrebbe avere un approccio laico, soppesando le decisioni in base ai risultati raggiunti a Trieste, ma anche perché eventuali corse in avanti sarebbero complicate da gestire. Una corrente di pensiero sostiene per esempio che, se i soci privati presentassero una lista alternativa a quella del consiglio, sarebbe difficile eludere l’accusa di concerto. Gli stessi soggetti si troverebbero infatti a sostenere due formazioni, la prima in qualità di promotori diretti e la seconda da azionisti rappresentati nel board della compagnia. Problematiche scivolose che peraltro si erano già poste in occasione del precedente rinnovo e in merito alle quali Mediobanca aveva richiesto uno specifico parere legale. La soluzione meno destabilizzante sarebbe insomma risolvere i dissidi all’interno del cda, evitando così rotture dagli esiti incerti.
Tornando a Del Vecchio, di investimenti nel salotto finanziario italiano Delfin ne sta collezionando parecchi. Si mormora peraltro che in queste settimane Mister Luxottica stia seguendo con attenzione l’andamento del titolo Unicredit. La ragione? In vista della nomina di un ceo di razza come Andrea Orcel rafforzarsi nel capitale della banca (di cui Delfin ha già il 2%) potrebbe rivelarsi una scelta lungimirante. (riproduzione riservata)
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