di Carlo Giuro
Lo scenario prospettico del nostro sistema previdenziale sembra sempre più orientato verso una combinazione sinergica tra previdenza obbligatoria e forme pensionistiche complementari. Il tenore di vita in quiescenza sarà cioè sostenuto dal «combinato disposto» della pensione di base (erogata dall’Inps per i lavoratori dipendenti privati, pubblici e autonomi e Casse di previdenza per i liberi professionisti) e delle rendite pagate da fondi pensione/pip. Già l’assetto delineato dal ciclo di riforme succedutesi dagli anni Novanta si proietta in questa direzione e nelle stesse raccomandazioni inviate dal Consiglio d’Europa ai paesi per potere accedere alle risorse del Next Generation Eu vi è la precisa indicazione di proseguire in questo senso. Gli effetti economici indotti dall’emergenza epidemiologica acuiscono la rilevanza della integrazione pensionistica. Il metodo di calcolo contributivo riflette, infatti, nel proprio meccanismo di funzionamento le dinamiche lavorative e l’andamento dell’economia dal momento che la futura pensione si determina sommando tutti i contributi versati nella propria vita attiva (pesano quindi eventuali periodi di interruzione o rallentamento lavorativo) e rivalutati ogni anno in base all’andamento della media del Prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni (l’attuale congiuntura, pur considerata normativamente nulla, determina di fatto un mancato incremento con una pensione futura di importo meno consistente). Va ancora valutato come il montante così determinato si tradurrà in trattamento di quiescenza con l’applicazione degli specifici coefficienti di trasformazione che riflettono la speranza di vita ad ogni età pensionabile e che vengono rivisti con cadenza biennale per ponderare l’effetto invecchiamento che caratterizza il nostro Paese.
La previdenza complementare, che è ad adesione volontaria, consente all’aderente anche di diversificare il proprio rischio previdenziale: a una pensione obbligatoria che con il metodo di calcolo contributivo si rivaluta in base all’andamento dell’economia si affiancano i fondi pensione che investono i propri contributi sui mercati generando rendimenti finanziari profittevoli. In maniera non casuale nel tavolo di confronto richiesto dai sindacati confederali al Ministro Orlando su un nuovo riordino strutturale del sistema previdenziale si intende discutere, tra gli altri argomenti (soluzioni di flessibilità in uscita per gestire il posto quota 100 nel 2022, età pensionabile per lavori gravosi, tutela previdenziale caregivers e lavoratrici donne), anche dell’opportunità di introdurre una pensione contributiva di garanzia per i giovani, una sorta di zoccolo duro per attenuare l’elevato rischio previdenziale che incombe sulle giovani generazioni, e di un rilancio della previdenza complementare al fine di migliorare il livello di «inclusione» di categorie al momento non coperte in maniera adeguata (le donne, i dipendenti pubblici, i lavoratori delle Pmi…). Tra i meccanismi cui si pensa vi è quella di reintrodurre in maniera diffusa il meccanismo del silenzio assenso (attualmente si applica solo ai nuovi assunti) accompagnato da una campagna informativa istituzionale. Va segnalato poi come nella contrattazione collettiva sono presenti altri meccanismi di spinta gentile come l’adesione contrattuale (il settore edile è stato uno dei pionieri) con l’iscrizione automatica del lavoratore al proprio fondo pensione di riferimento con il contributo datoriale e la possibilità successiva di rendere piena la propria iscrizione con il proprio contributo.
Nel dibattito in corso tra gli addetti ai lavori vi è poi la richiesta di rivedere in senso ulteriormente migliorativo il trattamento fiscale con l’esenzione dei rendimenti delle forme pensionistiche complementari così come avviene nella prevalenza degli altri Paesi europei e una maggiorazione del livello di deducibilità dei versamenti operati a beneficio dei familiari a carico estendendo il beneficio anche ai versamenti fatti dai nonni per i nipoti. (riproduzione riservata)
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