di Luca Gualtieri
Lo stop della Bce ai dividendi fa cadere il settore bancario in Piazza Affari. La moral suasion che nell’ambito della crisi sanitaria Francoforte ha rivolto agli istituti vigilati è stata subito accolta, con un effetto immediato sui corsi azionari che ieri hanno trascinato al ribasso i principali listini europei. La prima a muoversi in Italia è stata Unicredit che, ben prima dell’apertura di borsa, ha comunicato l’intenzione di congelare il dividendo 2019 e il programma di buyback fino a 467 milioni pur garantendo alle fondazioni azioniste (che oggi detengono circa il 5% del capitale) finanziamenti a condizioni favorevoli per un ammontare pari alle cedole. Immediata la reazione del titolo che a fine seduta ha lasciato sul terreno il 7,5%, con un indice Ftse Banche in ribasso del 5,1%.
«Ritengo importante che le banche siano presenti a sostenere l’economia, essendo parte della soluzione in questa crisi», ha dichiarato l’amministratore delegato Jean Pierre Mustier a Bloomberg Tv, sottolineando come «la raccomandazione permetterà di rilasciare 30 miliardi di capitale a sostegno dell’economia». Quanto a Unicredit, ha spiegato il banchiere, il gruppo riesaminerà la sua decisione sui dividendi dopo il 1° ottobre, termine minimo per il congelamento previsto dalla Bce, e se l’economia si sarà stabilizzata e ci saranno le condizioni «non vedo alcuna ragione per non pagare il dividendo». Del resto era stato proprio Mustier a proporre qualche giorno fa lo stop nella veste di presidente della Federazione bancaria europea, suggerendo agli istituti di assumere una linea comune. Invito a cui venerdì scorso si è unita la Vigilanza Bce, indirizzando una chiara moral suasion al settore.
La decisione di Unicredit (che avrà un effetto positivo di 37 punti base sul Cet1 e sarà neutrale relativamente ai pagamenti di cedole dei titoli At1 e per gli strumenti cashes) è stata accolta con qualche comprensibile mal di pancia, in particolare tra le fondazioni: «Non è una buona notizia, ma non riguarda solo Unicredit. Credo che anche le altre banche si orienteranno in questa direzione, peraltro indicata dalla Bce», ha dichiarato il presidente di Crt Giovanni Quaglia.
Se nella giornata di ieri anche Mediolanum e Banca Generali hanno deciso di chiudere i rubinetti della cedola, bisognerà aspettare oggi per capire cosa faranno gli altri istituti a partire da Intesa Sanpaolo. Il gruppo guidato da Carlo Messina sottoporrà la delicata materia al consiglio di amministrazione che, secondo quanto risulta, terrà conto dell’indicazione precisa fornita dal supervisore europeo. Sempre in giornata si riuniranno i board di Ubi Banca e Banco Bpm, sempre per esaminare l’opzione di uno stop ai flussi cedolari. Sebbene non circolino ancora posizioni ufficiali, l’aspettativa del mercato è che quasi tutti gli istituti si allineeranno alle indicazioni di Francoforte.
Nel frattempo gli analisti hanno già fatto qualche stima. Secondo Equita, per esempio, il mancato pagamento delle cedole relative all’esercizio 2019 consentirà alle banche italiane di conservare 5,6 miliardi di capitale con cui far fronte a 14 miliardi di crediti deteriorati aggiuntivi. In caso di stop anche alle cedole nel 2021 il capitale risparmiato si incrementerebbe di altri 6,3 miliardi, con una potenza di fuoco, in tema di assorbimento di npl, anche superiore. La decisione della Bce, per Equita, «conferma la gravità della situazione» in quanto «mai un regolatore si era spinto a chiedere di cancellare i dividendi. Secondo noi», si legge infatti nel report, «non si tratta di una sospensione dei dividendi ma di una cancellazione tout court che rende quasi impossibile pagare nel 2020».
Se insomma la mossa irrobustisce la posizione di capitale delle banche, l’effetto sui titoli non fa che allargare le perdite incassate nell’ultimo mese e mezzo. Basti pensare che, dallo scorso 17 febbraio, quasi tutti gli istituti hanno lasciato sul terreno tra il 40 e il 50% del proprio valore, quotando oggi ben al di sotto della metà del patrimonio netto tangibile. (riproduzione riservata)
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