Pronte app per ricostruire i contatti di persone infette
di Alessandra Ricciardi
Nessun ostacolo giuridico al tracciamento dei contagiati da Coronavirus: il diritto alla tutela della vita e della salute pubblica prevalgono su quello alla privacy. Emulare il modello cinese o coreano di contenimento della pandemia, modelli che devono il loro successo non solo alla restrizione a casa e ai tamponi di massa ma anche alla geolocalizzazione delle persone, è dunque possibile. È di questi giorni l’annuncio di alcune aziende italiane di aver sviluppato una app che permetterebbe alla Protezione civile di ricostruire i movimenti delle persone positive al coronavirus e di avvertire chi è entrato in contatto con loro; ed ancora la notizia della sperimentazione di un’altra applicazione in Umbria che consente di tracciare, tramite tecnologia Gps, gli spostamenti di coloro che decideranno di scaricarla, e di avvertirli in caso di contatto con utente positivo al virus. Strumentazioni pronte all’uso, dunque, richieste a gran voce dagli esperti epidemiologici per frenare la curva di crescita e controllare l’andamento del virus anche quando si tratterà di ridurre le misure restrittive. In tal senso Andrea Crisanti, direttore di microbiologia dell’università di Padova e alla guida della task force messa in piedi in Veneto dal governatore Luca Zaia. Lo stesso Zaia dice: «Il tracciamento sarebbe un’ottima soluzione, il problema è che siamo in un paese in cui la limitazione della privacy e della libertà personale sono evocate a ogni piè sospinto. Ma siamo in emergenza e ci vuole un provvedimento che ci autorizza a farlo». L’adozione dei dispositivi in questione sta infatti scontando vari freni dovuti al timore che possano violare diritti individuali come la privacy o essere in futuro utilizzati anche per altri casi, non necessariamente emergenziali. Insomma, che si creino i presupposti per un grande fratello di massa che spia la vita dei singoli, conservando dati sensibili finora sacri. Uno studio di un gruppo di giuristi di diverse università italiane (pubblicato su Federalismi) smonta punto per punto le obiezioni, offrendo un’ampia casistica sia normativa che giurisprudenziale, di livello italiano ed europeo, che consente di passare al tracciamento anche nel nostro ordinamento. Il faro del bilanciamento tra la tutela della vita e della salute pubblica e individuale e la tutela di alcuni diritti di libertà è rinvenuto innanzitutto nella giurisprudenza della nostra Corte costituzionale che a più riprese ha individuato il bene della vita come bene supremo. «Il diritto alla vita è il primo dei diritti inviolabili dell’uomo, in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri», si legge nell’ordinanza n. 207 del 2018 della Consulta. E poi nella sentenza n. 242 del 2019, la Corte parla del «diritto alla vita, riconosciuto implicitamente come primo dei diritti inviolabili dell’uomo (sentenza n. 223 del 1996) – in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri – dall’art. 2 Cost. (sentenza n. 35 del 1997), nonché, in modo esplicito, dall’art. 2 Cedu», la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. La limitazione del diritto alla privacy, ai sensi del diritto dell’Unione, viene considerata misura «necessaria e proporzionata» che una società democratica può applicare «per la salvaguardia della sicurezza pubblica, ivi comprese la tutela della vita umana, in particolare in risposta a catastrofi di origine naturale o umana». Il fine dunque non può che essere quello dell’uscita dall’emergenza, evidenziano i giurisiti (Guido Biscontini, Mario Comba, Enrico Del Prato, Ludovico Mazzarolli, Anna Poggi, Giuseppe Valditara, Filippo Vari), una volta cessata la quale è necessario che «i dati vengano distrutti e non siano più utilizzabili se non, eventualmente, in forma aggregata ed anonima, al solo fi ne di ricerca». Così come è evidente, ragiona Valditara, ordinario presso l’università di Torino, che «il ricorso a questi strumenti debba essere autorizzato da una legge, o meglio da un decreto legge vista l’emergenza, con l’assunzione di responsabilità di governo e parlamento».
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