Il welfare aziendale fa bene: due lavoratori beneficiari su tre ne riconoscono il contributo tangibile in termini di qualità della vita e benessere.
Si potrebbe riassumere così il bilancio dell’anno appena trascorso, sintesi di quanto espresso dai numeri e dalla percezione di aziende e lavoratori, secondo il terzo rapporto Censis-Eudaimon recentemente pubblicato. Già oggi, il 66,1% dei lavoratori che beneficiano di questi servizi dichiara che stanno contribuendo a migliorare la propria qualità della vita: un riconoscimento del valore del welfare che è trasversale ai ruoli svolti nelle imprese, perché a dichiararlo è l’89,5% di dirigenti e direttivi, il 60% degli impiegati, il 78,8% di operai ed esecutivi.
Il ruolo e la crescita dello strumento (introdotto nel 2016 con la legge di Stabilità che dava la possibilità alle imprese di convertire premi di produzione in welfare aziendale, legittimandone l’ingresso dentro le aziende e nella vita dei lavoratori) riscuote grande attenzione dentro e fuori le aziende e diventa materia sempre meno sconosciuta ai lavoratori. Dei 17.300 contratti attivi depositati in modalità telematica al Ministero del Lavoro a novembre 2019, il 52,7% (9.121) prevede misure di welfare aziendale, in crescita del 6,6% rispetto al 46,1% dei contratti al novembre 2018. Per quanto riguarda la contrattazione di secondo livello, nel 2017 il 33% dei contratti prevedeva accordi di welfare aziendale, nel 2018 la percentuale è salita al 38%.
Il 22,9% dei lavoratori dichiara di conoscere bene il welfare aziendale (+5,3% la differenza percentuale rispetto all’anno scorso): questa quota è composta per il 39,3% da dirigenti e direttivi, per il 23,9% dagli impiegati e per il 14,3% da operai ed esecutivi.
Inoltre, è il 54,4% dei lavoratori italiani a pensare che l’attivazione di servizi, benefit e prestazioni di welfare aziendale contribuirà nei prossimi anni a migliorare la qualità della vita sul posto di lavoro, il clima aziendale e la soddisfazione dei lavoratori, con percentuali più elevate tra dirigenti (64,3%) e intermedi (56,2%) rispetto ad operai ed esecutivi (45,2%).
Quali sono le aspettative sul futuro? La natura intrinseca delle aziende è di essere proiettate in avanti e tra 3-5 anni, il 66,1% si vede più tecnologica e digitale oltre che più attenta all’ambiente e alla sostenibilità (il 39,4%): un numero significativo, che richiama la più generale attenzione che al momento viene posta sul tema e che, nei contesti aziendali, si traduce nello sviluppo di modelli di produzione meno inquinanti e dannosi per l’ambiente circostante.
Il 21,8% delle imprese ritiene di essere più produttiva ed efficiente: un aspetto che richiama ad una migliore organizzazione e ottimizzazione dei processi di produzione di beni e servizi e per cui le nuove tecnologie possono fare molto, migliorando le performance dei lavoratori.
Il 21,2% delle aziende ritiene che sarà più flessibile, con meno vincoli di orario per i lavoratori. Per il 97,6%, invece, ci sarà un plus di produttività, efficienza e competitività grazie all’arrivo delle nuove tecnologie, mentre il 97% stima che ci sarà un miglioramento dei contesti aziendali: qualità del lavoro e della vita nel luogo di lavoro, ma anche la sfera della salute e della sicurezza per effetto di una riduzione dei rischi di infortuni per i lavoratori.
Per l’85,5% delle imprese si lavorerà di più in modalità remota; questa di certo la grande sfida del welfare aziendale nell’era post-pandemica. (riproduzione riservata)
Fiorella Cipolletta
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