Il blitz di Société Générale sul 5% riaccende i riflettori sugli assetti di controllo. Per la banca francese la quota non è strategica, ma l’annuncio a sorpresa solleva qualche dubbio. I riflessi sulla lista di Mediobanca e sugli equilibri con i soci privati
di Luca Gualtieri

A sgombrare il campo dalle indiscrezioni su un avvicinamento tra Société Générale e Generali ci ha pensato la banca francese, che venerdì 15 ha dato una spiegazione ufficiale del blitz: il 4,97% comprato tra il 7 e l’11 marzo «non ha nulla a che vedere con una qualsiasi posizione strategica», ha precisato una nota, sottolineando come la partecipazione sia il risultato di «classiche transazioni legate alla copertura di operazioni realizzate nel contesto delle attività di mercato». Una puntualizzazione inusuale per una banca storicamente molto attiva nel trading, ma dovuta alle speculazioni montate sul mercato.
Speculazioni in parte giustificate. Se infatti i francesi insistono sul carattere puramente opportunistico dell’investimento, la tempistica scelta per aprire la posizione (costruita in buona parte con derivati) è stata senz’altro efficace. La comunicazione è arrivata infatti nel giorno della presentazione dei conti 2018 e a breve distanza dalla chiusura delle liste per l’assemblea del 7 maggio. Una tempistica insomma ben diversa da quella dell’ultimo blitz, datato settembre 2016, quando SocGen si mise in tasca il 4,2% di Generali attraverso un castello di diritti di voto, opzioni e prestiti titoli.
Non solo; ad alimentare le suggestioni del mercato è anche il collegamento tra SocGen e Unicredit . Le due banche stanno ragionando su un merger, benché i contatti procedano a singhiozzo. Se infatti sul piano industriale il progetto potrebbe funzionare, molti ostacoli si frappongono ancora all’obiettivo perseguito dal ceo Jean Pierre Mustier (che proprio in SocGen ha lavorato fino al 2009), dalla sfavorevole congiuntura internazionale ai logorati rapporti Italia-Francia.

Il dossier comunque è ancora sul tavolo e, si mormora, potrebbe riprendere quota dopo le elezioni europee. Unicredit d’altra parte è anche il primo azionista di Mediobanca , che con il suo 13,04% di Generali rimane il garante dell’italianità di Trieste. Nei mesi scorsi, decaduto il vecchio patto di sindacato, Unicredit ha scelto di restare nel capitale di Piazzetta Cuccia promuovendo un nuovo accordo parasociale di durata triennale. Una decisione che, si mormora, Mustier avrebbe preso con un occhio rivolto a Generali .
A Trieste del resto gli equilibri nel capitale sono cambiati. I soci italiani hanno stretto la presa sulla compagnia incrementando le proprie partecipazioni: Francesco Gaetano Caltagirone si è portato al 5,01%, Leonardo Del Vecchio è salito al 4,87%, mentre i Benetton (posizionati attorno al 4%) sono proiettati verso il 5%. L’aumento del peso azionariato consente oggi ai soci privati di condizionare le scelte della compagnia, come ha dimostrato il confronto sul futuro presidente.

Se nessuno ha mai avuto dubbi sulla conferma del ceo Philippe Donnet, la decisione di cambiare lo statuto e di rinnovare la fiducia a Gabriele Galateri di Genola è arrivata al termine di un’accesa dialettica interna. Non solo. L’accresciuto peso dei soci privati (giunti vicino al 17%) potrebbe preludere a una ridistribuzione dei pesi nella lista di maggioranza, che dovrà essere presentata nelle prossime settimane sotto la regia di Mediobanca . È però plausibile che il blitz di SocGen e il timore di eventuali manovre ostili suggeriscano agli azionisti di rimandare progetti di questo genere per ricompattarsi ancora una volta attorno a Piazzetta Cuccia. Il tema comunque sarà definito a breve quando Mediobanca chiuderà le consultazioni sulla lista.
Nel frattempo venerdì 15 la borsa ha premiato il titolo Generali (+2,09% a 16,34 euro) dopo i conti del 2018 riportandolo sui livelli di maggio 2018. Tutti i target del piano 2015-2018 sono stati infatti battuti, con la generazione di cassa che ha raggiunto gli 8 miliardi, rispetto all’obiettivo di 7 miliardi, il roe ha toccato il 13,4% e i dividendi cumulati hanno toccato i 5,1 miliardi, a dispetto di un obiettivo di 5 miliardi. Un piano, quello 2015-2018 che Donnet ha ricevuto in dote nel 2016 da Mario Greco, passato nel frattempo al timone di Zurich.
Salito alla plancia di comando, il manager francese ha scelto di confermare tutti i target finanziari indicati da Greco, aggiungendo una riorganizzazione geografica di Generali nel mondo per incassare dalle dismissioni 1 miliardo di euro, oltre a una razionalizzazione della macchina operativa, con la previsione di tagliare 200 milioni di costi. Traguardi, anche questi, superati dai fatti: dalle dismissioni sono arrivati 1,5 miliardi, mentre l’obiettivo dei 200 milioni è stato raggiunto prima del tempo, a fine 2017. (riproduzione riservata)

Fonte: