Oltre 60 gare bandite negli ultimi 6 mesi segnano lo sviluppo del nuovo campo di gioco su cui si affrontano società specializzate, broker, compagnie assicurative e consulenti strategici
Trenta gare nell’ultimo semestre 2016 per selezionare fornitori di servizi di welfare aziendale, in particolare per l’erogazione dei cosiddetti flexible benefit. Altre 30 gare sono state indette nei primi due mesi e mezzo di quest’anno: sono i numeri di un nuovo mercato che sta crescendo vorticosamente.
Stimarne il valore è ancora difficile perché sui capitolati di gara ci sono troppe variabili e molta riservatezza. «Eni, che da sempre investe nel welfare, ha deciso di arricchire l’offerta ai propri dipendenti anche con la messa a disposizione di un piano di flexible benefit gestibile attraverso una piattaforma informatica. Per questa ragione ha indetto una gara finalizzata all’individuazione di un partner qualificato e specializzato in tale ambito», hanno raccontato dal quartier generale del gruppo petrolifero, senza però scendere nei dettagli di prestazioni e cifre.
Secondo Giovanni Scansani, ceo di Valore Welfare, una società di consulenza specializzata, si potrebbe trattare di una gara da 40 milioni di euro, calcolando un premio di risultato di circa 2.100 euro per ciascuno dei quasi 20 mila dipendenti. «Le grandi aziende hanno avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del welfare aziendale e lo avranno anche nello sviluppo del mercato dei servizi di supporto». I cosiddetti flexible benefit, i servizi di supporto al welfare aziendale, sono l’argomento centrale nelle richieste delle aziende e nell’offerta dei consulenti.
«Costituiscono una parte di quello che le aziende ricomprendono nel mondo del Welfare aziendale.
Per questo stiamo arricchendo la nostra offerta attraverso partnership con altri fornitori specialisti di servizi particolari», ha spiegato Chiara Fogliani, ceo di Welfare Company, uno dei principali fornitori italiani. «Studiamo progetti ad hoc, personalizzati sulle esigenze delle nostre aziende clienti nel campo della sanità, dei servizi alla persona, della consulenza».
Per vincere le gare, o comunque per candidarsi a diventare il provider migliore dei servizi di welfare, occorrono almeno cinque caratteristiche fondamentali, secondo Nelly Bonfiglio, sales director di Easy Welfare, una delle società leader di questo nuovo mercato.Innanzitutto è richiesta la consulenza sull’organizzazione del lavoro, che vuol dire capacità di analisi della popolazione dei lavoratori, ascolto e focus group dei dipendenti, mappatura dei benefit; poi è necessaria una specifica attrezzatura nella consulenza fiscale. Il terzo fattore di successo è la disponibilità di una piattaforma informatica, facile da usare, efficiente, tecnologicamente avanzata, in grado di mostrare ai dipendenti dell’azienda il catalogo dei servizi fruibili. Poi occorre la capacità di cercare e trovare sul territorio servizi eccellenti da fornire come benefit e infine un’esperienza nella comunicazione interna per lanciare i servizi offerti e monitorare il loro gradimento.
Anche i dipendenti credono nel welfare aziendale. È il dato più evidente che emerge dalla ricerca Doxa-Edenred 2016 sullo stato del welfare aziendale in Italia. Il 62% dei dipendenti, infatti, esprime un giudizio positivo sull’implementazione di programmi di welfare nella propria azienda. «La partita del welfare aziendale si gioca in due: imprese e dipendenti. È fondamentale, quindi, che a credere nelle potenzialità e nell’effettiva utilità dello strumento siano entrambe le parti», ha sottolineato Andrea Keller, ceo di Edenred Italia, la società francese che ha inventato i ticket restaurant, una forma originaria di un servizio di voucher, un benefit, un servizio di welfare aziendale.
Tra i nuovi operatori che si affacciano sul mercato c’è anche il leader delle soluzioni software gestionali per il personale, Zucchetti, che alla fine del 2016 ha acquisito la maggioranza di DoubleYou, uno dei primi operatori specializzato in flexible benefit. «Il mercato che si sta sviluppando sul welfare aziendale può essere diretto o indiretto», ha spiegato Domenico Uggeri, vicepresidente del Gruppo Zucchetti, «quello diretto si rivolge ad acquisire l’azienda cliente finale.
Quello indiretto, ed è quello che inseguiamo noi, è quello che conta sul ruolo di intermediazione svolto da associazioni di categoria o da professionisti, che sono i nostri interlocutori privilegiati». Il mercato cresce, la competizione si fa più ricca, soprattutto se si considera che la sanità integrativa sta diventando uno dei più dinamici nel volàno di crescita rappresentato dal welfare aziendale e contrattuale. La legge di Bilancio 2017 ha consentito di andare oltre il plafond di 3.615 euro, attingendo quote utili alla sanità integrativa anche dai premi di risultato. Questo giustifica il dinamismo delle compagnie specializzate come Rbm Salute o come Unisalute (gruppo UnipolSai), o l’attenzione che compagnie nate per rivolgersi al mercato della previdenza complementare stanno dirigendo al segmento salute. Un nome per tutti: PosteVita, che sotto la guida di Bianca Maria Farina, che ha assunto anche la presidenza di Ania, l’associazione di categoria delle compagnie di assicurazione, ha lanciato poco meno di un anno fa PosteSalute. La crisi, con la sua lunghissima congiuntura negativa, porta lo sguardo sul breve-medio termine invece che sul lungo: quindi meno previdenza e più sanità. «In questo campo è fondamentale è l’alleanza pubblico-privato», ha precisato Marco Vecchietti, consigliere delegato di Rbm Salute, una delle prime compagnie specializzate sui temi della salute. «La specializzazione è uno dei fattori che possono fare la differenza a fronte di un’abitudine delle compagnie generaliste, per lo più Rc-auto centriche». Rbm Salute ha raccolto nel 2015 oltre 300 milioni di premi.
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