Oltre 500 mln di euro a budget nel 2015 per l’assistenza degli iscritti. L’ultima frontiera è l’assistenza agli anziani non autosufficienti. Ma lo Stato non aiuta
di Marino Longoni mlongoni@class.it

Le casse di previdenza dei professionisti puntano sempre di più sul welfare, cioè sulla fornitura di servizi aggiuntivi rispetto al versamento della pensione all’iscritto una volta che questi abbia chiuso l’attività lavorativa. Anche per evidenziare l’aspetto mutualistico della previdenza professionale e staccarsi da un piano meramente assicurativo/finanziario.

Infatti, se una cassa di previdenza si limitasse a restituire all’iscritto quello che costui gli ha versato, e con il modello contributivo ormai dominante non ci si allontana molto da questo schema, ci si potrebbe chiedere quale sia il valore aggiunto di una previdenza di categoria rispetto a entità meramente finanziarie, che potrebbero garantire ai clienti una maggior libertà di gestione del proprio risparmio contributivo rispetto a quello che può fare la previdenza obbligatoria.

La risposta è, appunto, l’aspetto mutualistico che trova, nei servizi di welfare, la propria massima espressione. Non è un caso se le casse dei professionisti hanno messo a budget per il 2017, come racconta il servizio a pag. 41, oltre 500 milioni di euro. Uno dei servizi sui quali sempre più casse si stanno orientando è quello della long term care, cioè la cura degli anziani non più autosufficienti. Le casse di previdenza di avvocati, consulenti del lavoro, medici, periti industriali e agronomi, chimici, attuari e geologi hanno sottoscritto una convenzione con Emapi per offrire una copertura che prevede, nel malaugurato caso in cui ci si dovesse trovare in condizioni di non autosufficienza, l’erogazione di una rendita mensile vita natural durante. Oltre alla predetta copertura, i cui oneri sono a carico dei bilanci dei rispettivi enti, è data la possibilità al singolo professionista di incrementare la rendita volontariamente con oneri a proprio carico. Si tratta di una misura che viene incontro alle esigenze sempre più pressanti connesse all’invecchiamento della popolazione e a un Servizio sanitario nazionale che non è più in grado di far fronte a tutte le problematiche connesse all’aumentare del numero egli anziani e della durata media della vita.

Un posto importante nel budget di tutti gli enti è naturalmente costituito dall’indennità di maternità: da qualche anno si cominciano a vedere anche gli assegni di paternità, sebbene in misura decisamente inferiore. Infine gli aiuti economici: la crisi ha creato ferite profonde, non solo tra i giovani professionisti, e così molte casse di previdenza si sono sforzate di mettere a disposizione strumenti, molto diversi da categoria a categoria, per dare un contributo all’avvio o al mantenimento di livelli dignitosi di attività economica.

Stiamo parlando di cifre consistenti, oltre 500 milioni di euro per il 2017, che si relativizzano però se messe a confronto con i bilanci delle casse di previdenza, oltre 8 miliardi di entrate contributive l’anno e con la platea degli iscritti, oltre 2,5 milioni di professionisti. È comunque un segno di attenzione delle casse al benessere complessivo dei propri iscritti, in crescita da anni non solo dal punto di vista dei servizi offerti ma anche da quello dell’ammontare delle risorse stanziate. Uno sforzo che non trova nessun supporto da parte dello Stato non solo in termini di contributi per le prestazioni assistenziali offerte, ma nemmeno in termini di agevolazioni fiscali. Oggi i versamenti previdenziali degli iscritti sono tassati due volte, quando vengono versati e quando viene erogata la pensione. E negli ultimi cinque anni la tassazione sulle casse di previdenza è quasi raddoppiata. L’auspicio è che nel disegno di legge sul lavoro autonomo, attualmente in discussione in parlamento, si riesca tener conto del valore sociale di questo tipo di prestazioni.

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