Il decreto correttivo non può essere una nuova riforma
Codice appalti monco. Tanto da essere anche difficile da correggere. Non essendo stato completato il quadro degli atti attuativi non è infatti stato possibile cogliere a pieno le criticità applicative da rimettere in sesto. Una prova? La scheda Vir (verifica di impatto della regolazione) dello schema di decreto correttivo. Spesso lacunosa perché non analizza le criticità applicative sulla base di un lasso temporale e dati statistici sufficienti. E’ un giudizio pesante quello espresso dal Consiglio di stato che ha licenziato ieri il parere (n.782/2017) proprio sul decreto correttivo del nuovo codice dei contratti pubblici che dovrà essere approvato entro il 19 aprile 2017 (un anno dall’entrata in vigore del primo). Si tratta del 18° dei pareri resi dal Consiglio di Stato sulla riforma degli appalti pubblici (dlgs 50/2016), nell’arco di un anno. Il 15 luglio scorso, con un avviso di rettifica, erano stati già corretti dal governo oltre 180 errori materiali del decreto, ricordano i giudici di Palazzo Spada. Lo schema di correttivo modifica adesso 119 dei 220 articoli del codice e interviene dopo solo un anno; mentre il codice non è stato ancora completato con tutti gli atti attuativi previsti, pari a 53 (ad oggi, ne sono stati varati 11 espressamente previsti dal codice, e 4 non espressamente previsti, e sono in corso di adozione altri 9 atti attuativi).

Il rilievo di carattere generale più importante fatto dal Consiglio di stato è che lo strumento del correttivo non può costituire una sorta di nuova riforma, che modifichi le scelte di fondo operate in sede di primo esercizio della delega. Non solo. Il correttivo interviene dopo un periodo troppo breve di applicazione delle nuove regole: le leggi, secondo Palazzo Spada, possono essere corrette solo dopo un congruo periodo di applicazione, che deve essere almeno di due anni. Di qui l’auspicio che il Parlamento possa portare a due anni il termine, ora annuale, per le correzioni del codice. Accompagnato da un altro: che la legislazione sugli appalti pubblici abbia maggiore stabilità e non venga di continuo modificata, come la precedente (cambiata oltre 50 volte), perché il settore ha bisogno di regole chiare e certe.

Disco verde in Conferenza unificata. Ieri intanto si è registrato il semaforo verde dell’Anci sul testo in Conferenza Unificata. «Abbiamo espresso un parere favorevole sullo schema di decreto correttivo perché rappresenta per noi un passo in avanti importante per rendere lo stesso Codice più attuabile e dunque utile», ha dichiarato il vicepresidente Anci e sindaco di Pesaro, Matteo Ricci.

«In particolare i correttivi, proposti dall’Anci e contenuti già nel testo, rafforzano la fattibilità e la tempestività delle procedure di appalto e dunque rappresentano un volano per gli investimenti. Ad oggi infatti le opere possono andare in gara solo con il progetto esecutivo. Il correttivo al Codice, invece, reintroduce l’appalto integrato che renderà possibile andare in gara anche con progetti definitivi. L’onere del progetto esecutivo andrà quindi in capo alle imprese aggiudicatarie anche dei lavori, con un evidente risparmio per le amministrazioni da tempo in sofferenza per carenza di personale e mancanza di figure specifiche che si occupano di progettazione interna».

Ma vediamo i più importanti rilievi evidenziati nel parere.

Progetti e progettisti. Vanno valorizzate le professionalità interne alle pubbliche amministrazioni, fissando la priorità della progettazione interna rispetto a quella esterna, già prevista dal codice del 2006. Va riconsiderata l’introduzione dell’obbligo, per i progettisti dipendenti pubblici, di iscrizione all’Ordine professionale, in assenza di una riflessione più ampia di carattere ordinamentale, sulla legge professionale. Non può imporsi in modo cogente alle stazioni appaltanti l’utilizzo degli onorari professionali approvati con decreto ministeriale.

Contratti sotto soglia. Un numero minimo troppo alto di imprese da invitare rischia di vanificare le esigenze di semplificazione. E non può essere sacrificata la necessità di un rigoroso controllo sull’assenza di condanne penali e interdittive antimafia per l’affidatario di contratti sotto soglia.

Stazioni appaltanti. I casi di stazioni appaltanti qualificate ex lege sono tassativi e non vanno ampliati.

Operatori economici. La qualificazione deve essere affidata ad un vero e proprio regolamento e non a linee guida. Appare irragionevole attribuire la qualificazione per esperienze pregresse molto remote nel tempo, salva la possibilità di una disciplina transitoria per esigenze congiunturali. La gratuità del soccorso istruttorio, voluta dalla legge delega, non esclude la possibilità che sia addossato al concorrente il costo del servizio, anche in funzione di deterrenza di condotte negligenti.

Commissari di gara esterni. Una commissione di gara esterna non è necessaria quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso.

Garanzie. È corretto prevedere esoneri e riduzioni delle garanzie per contratti sotto i 40 mila euro per agevolare le piccole e medie imprese, ma va stabilito se il beneficio è cumulabile o no con altri in tema di garanzie. È corretto ripristinare il vincolo di solidarietà tra garanti e l’escussione della garanzia anche in caso di fatto meramente colposo dell’aggiudicatario.

Offerte anomale. Non va elevata la soglia di individuazione delle offerte anomale. Non vanno introdotti automatismi eccessivi nell’esclusione delle offerte anomale, in ogni caso preclusi per gli appalti di interesse transfrontaliero.
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