Seguendo le tracce digitali si anticipano gusti e desideri di tutti
di Marco A. Capisani
«Analizzare i big data è come eseguire una tomografia della società per capirne i valori, le credenze, l’andamento demografico. A essere radiografati sono numeri, parole e immagini attraverso le tracce impresse dalle nostre impronte digitali. Perché, ebbene sì, siamo persone aumentate con protesi hi-tech come lo smartphone sempre in mano.
Lasciamo tracce digitali ogni volta che usiamo il cellulare o navighiamo su internet». Ha spiegato così «la svolta cruciale che le nuove tecnologie stanno imprimendo alla società» Mario Rasetti, presidente di Isi Foundation (Istituto per l’interscambio scientifico), professore di fisica teorica e soprattutto tra i massimi esperti mondiali di big data, intervenuto ieri all’apertura del 1° Milano Marketing Festival (promosso da Class Editori, fino a domani alla Fabbrica del Vapore, via Procaccini n.4, www.milanomarketingfestival.it). Un intervento, quello del professore, seguito con attenzione da centinaia di studenti dei corsi universitari di marketing accorsi alla manifestazione e conclusosi con uno scrosciante applauso.
«Possiamo parlare di Quinta rivoluzione tecnologica», ha proseguito Rasetti, «perché interpretando i big data si scoprono i gusti delle persone, i desideri, e si arriva a fornire loro prodotti e servizi mirati», prima ancora che li richiedano.
Ma «il sapere deve sempre passare dall’informazione per farsi capire e far comprendere», ha sottolineato Paolo Panerai, editor in chief e ceo di Class Editori (che partecipa al capitale di questo giornale). «In questo senso ItaliaOggi, con la sua sezione MarketingOggi, è l’unico quotidiano con 6-8 pagine al giorno dedicate al marketing.
In aggiunta, adesso, lanciamo la prima edizione del Milano Marketing Festival perché il capoluogo lombardo ospita aziende, università, media specializzati ma non ha un suo evento dedicato al marketing, al contrario, per esempio, di Londra. E cos’ha da invidiare Milano a Londra? Non moltissimo. La città ha tutte le caratteristiche per cogliere le opportunità dalla Brexit, non solo come sede dell’Agenzia del farmaco. Il marketing può dare una spinta in questo senso». L’obiettivo è quindi creare a Milano una vera comunità del marketing, in cui «si moltiplicano le idee grazie a un impulso continuo di confronti e relazioni», ha proseguito. Per il Milano Marketing Festival «abbiamo avuto la fortuna, come per la Class Digital Experience Week che replicheremo il 15 maggio, di avere con noi l’architetto Italo Rota».
Rota ha firmato la mostra Marketing is Art con più di 30 marche che espongono le loro campagne di comunicazione e i prodotti migliori, come fossero opere d’arte perché «il marketing è la nuova forma creativa», ha sottolineato l’architetto, «che deve saper creare storie ed empatia. Non solo, la sua prossima frontiera è la produzione immateriale», simbolo di un’era digitale. Se però oggi «il marketing è l’anima dell’attività economica», ha aggiunto Pierluigi Magnaschi, direttore di ItaliaOggi e MF-Milano Finanza e vicepresidente di Class Editori, «pensiamo che in origine marketing voleva dire solo saper vendere bene.
Adesso influenza addirittura la produzione stessa. Del resto, se non vendi non produci. E allo stesso modo chi non comunica non esiste. Per questo», sempre secondo Magnaschi, «c’è una crescente richiesta d’informazioni di marketing a cui risponde MarketingOggi, che è come avere a disposizione un Festival tutti i giorni, assolutamente non cattedratico». Al 1° Milano Marketing Festival, comunque, non ci sono solo aziende e guru internazionali (vedere box nelle pagine a seguire) ma anche «i relatori di 18 workshop per capire il marketing nel dettaglio e 23 award da assegnare ai casi di marketing a maggior valore aggiunto», ha ricordato Angelo Sajeva, consigliere per le strategie e lo sviluppo di Class Editori e presidente di Class Pubblicità. Mentre, ha concluso Domenico Ioppolo, chief operating officer, MF Servizi Editoriali, «80 professionisti da diversi settori intervengono complessivamente al Festival. Una possibilità unica per vedere come si costruisce concretamente un marchio».
Ed è proprio ai marchi, in un’ottica commerciale, che spetta «selezionare i dati fondamentali per profilare i clienti, correlarli e infine sintetizzarli per trarne sapere», ha spiegato Rasetti. «I big data sono big, e questo non è per forza un bene, perché solo l’anno scorso abbiamo prodotto più dati che in tutta la storia fino al 2015. Ogni giorno vengono spedite 410 miliardi di e-mail, 35 miliardi di sms e 700 milioni di foto vengono postate su Facebook. In tutto più della metà della popolazione globale gira con un cellulare in mano. Quindi, i marchi devono stare attenti perché nel mondo dei big data il pensiero non è più lineare o consequenziale. Le deduzioni non sono facili». Rasetti, ha quindi rivelato che esiste già il centro di calcolo più veloce al mondo, capace di elaborare un miliardo di miliardi di byte al secondo, anche se è stato realizzato a Pechino, in Cina, da Huawei e non da un’azienda europea o americana. «Ma non è solo una questione di elaborazione di big data», ha ammonito Rasetti. «Ci sono anche delle conseguenze sociali, delle redistribuzioni di potere e impatti sul mondo del lavoro, considerando il tema parallelo dell’intelligenza artificiale». Ecco perché digitalizzazione e globalizzazione, a giudizio dell’esperto, sono due trend irriversibili che generano tanto disagio e paura, al pari dei populismi. «Invece dovrebbero creare ottimismo», ha raccontato alla platea. «Sapete come gli esperti capiscono se si sta diffondendo un’epidemia contagiosa? Non andando a chiedere all’associazione mondiale dei medici, ma monitorando dove e per quante volte si sta cercando online il nome o i sintomi di una malattia. Oppure vi ricordate che impatto ha avuto sull’immaginario collettivo l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert? Adesso pensate a Wikipedia che, in più, è anche interattiva e lo stesso utente può contribuire a migliorarla e aggiornarla». Semmai il paradosso è che gli utenti regalano informazioni su di loro ai vari social network come Facebook o Twitter, ha concluso con ironia Rasetti, mentre «aziende e noi studiosi dobbiamo pagarli, se vogliamo radiografare il mondo».
Insomma, è la sintesi in positivo dell’esperto, «la digitalizzazione non ci toglierà tutto il lavoro. L’intelligenza artificiale non sostituirà mai quella umana. Al contrario, semmai, nella società e nelle aziende servono sempre più data scientist per decrittare la realtà e la sua ingente mole d’informazioni». Non dimenticando mai, ha sottolineato più volte Rasetti durante l’intervento, l’etica che deve essere il faro di chi maneggia i big data. Anche nel caso servano al marketing.
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