Per i Lloyd’s di Londra l’esercizio 2015 si è chiuso con un calo del 30% dell’utile ante imposte, sceso a 2,1 miliardi di sterline (oltre 2,6 miliardi di euro). Il motivo della frenata si deve alla riduzione del ritorno sugli investimenti e alla forte pressione esercitata dal mercato sui prezzi delle coperture.
Nel corso del 2015 è invece aumentata del 6% la raccolta premi ante-imposte a 26,7 miliardi di sterline (circa 33,8 miliardi di euro). In peggioramento il combined ratio che è passato da 88.4 punti percentuali (2014) al 90.0 di fine 2015.
A commento dei risultati il chairman dei Lloyd’s, John Nelson ha affermato che “in un contesto macroeconomico di grande difficoltà come quello dello scorso anno, i Lloyd’s hanno dimostrato grande capacità di adattamento e di reazione raggiungendo, grazie all’ingegnosità e all’eccellente professionalità che li contraddistingue, risultati che vanno ritenuti positivi e che confermano la solidità finanziaria del mercato londinese”.
Solidità confermata dai rating A (excellent) assegnato da A.M. Best; AA- (very strong) da Fitch e A+ (strong) da Standard & Poor’s.
Inga Beale, chief executive officer dei Lloyd’s ha aggiunto che il mercato londinese sta perseguendo la sua strategia volta “a fornire soluzioni in linea con la rapida evoluzione del mondo che fa emergere nuove aree di rischio estremamente complesse come cyber-attacks, terrorismo e cambiamenti climatici e che possono trovare risposta solamente presso i Lloyd’s”.
I Lloyd’s of London contano oggi su oltre 80 Syndacate (incluse società quotate come Beazley e Hiscox) che operano nella City londinese e sottoscrivono rischi complessi da tutto il mondo e che in molti casi non vengono assicurati in altri mercati.
Sul più importante mercato assicurativo del mondo aleggia comunque il rischio Brexit. Secondo John Nelson si tratta di una questione estremamente delicata in quanto l’eventuale fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea “renderebbe la piazza dei Lloyd’s di Londra meno attraente per gli investitori stranieri e ci costringerebbe a ristrutturare il nostro business e ad aprire uffici di rappresentanza all’interno dell’UE con evidente maggiorazione di costi. Ormai circa il 90% del nostro capitale e dell’attività di underwriting viene dall’estero e negli ultimi anni gli investimenti nei Syndacate provenienti da Stati Uniti e Asia sono stati molto corposi”.