A cura di Sonia Lazzini
Niente danni a chi attraversa una strada ghiacciata: il caso fortuito libera la responsabilità del Comune.
La Corte Suprema di Cassazione – Sezione III civile, sentenza numero 5622 del 22 marzo 2016 non ha dubbi a riguardo:
La mancata osservanza da parte della danneggiata anche del minimale precetto di diligenza consistente nel guardare per terra onde evitare di calpestare visibili lastre di ghiaccio nell’impegnare l’attraversamento pedonale, unitamente alle particolari circostanze atmosferiche che avevano reso impossibile la completa liberazione dell’intero territorio comunale da neve e ghiaccio, sono state ritenute circostanze idonee ad integrare la prova liberatoria del caso fortuito.
Secondo il Supremo giudice civile infatti non era possibile per il comune porre in essere un’attività così imponente come quella che sarebbe stata necessaria per liberare da neve e ghiaccio l’intero territorio comunale, in considerazione dell’eccezionalità degli eventi atmosferici che si erano determinati.
Ma non è tutto. L’incidente si è verificato perché la ricorrente non aveva osservato la necessaria prudenza richiesta dalla situazione climatica eccezionale (ampiamente nota e riconoscibile), che avrebbe imposto la massima attenzione per evitare di transitare sulle lastre di ghiaccio che si erano formate sul manto stradale, peraltro di non difficile individuazione.
Viene quindi confermata la sentenza di appello in quanto:
La corte di appello non si è discostata dai principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di responsabilità degli enti locali per i danni causati dai beni del patrimonio demaniale, e secondo i quali:
a) «la presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c. non si applica, per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, le volte in cui non sia possibile esercitare sul bene stesso la custodia intesa quale potere di fatto sulla cosa; in riferimento al demanio stradale, la possibilità concreta di esercitare tale potere va valutata alla luce di una serie di criteri, quali l’estensione della strada, la posizione, le dotazioni e i sistemi di assistenza che la connotano, per cui l’oggettiva impossibilità della custodia rende inapplicabile il citato art. 2051» (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9546 del 22 aprile 2010; Sez. 6 3, Ordinanza n. 12821 del 19 giugno 2015);
b) «la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., opera anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo l’amministrazione liberata dalla medesima responsabilità ove dimostri che l’evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione (nella specie, una macchia d’olio, presente sulla pavimentazione stradale, che aveva provocato la rovinosa caduta di un motociclista) la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode» (così Cass. Sez. 3, Sen-tenza n. 6101 del 12 marzo 2013; conformi, in precedenza: Sez. 3, Sentenza n. 15042 del 6 giugno 2008; Sez. 3, Sentenza n. 20427 del 25 luglio 2008; Sez. 3, Sentenza n. 8157 dei 3 aprile 2009; Sez. 3, Sentenza n. 24419 del 19 novembre 2009; Sez. 3, Sentenza n. 24529 del 20 novembre 2009; Sez. 3, Sentenza n. 15389 del 13 lu-glio 2011; Sez. 3, Sentenza n. 15720 del 18 luglio 2011; Sez. 3, Sentenza n. 21508 del 18 ottobre 2011).
Ed inoltre la ricorrente deduce che la corte di appello avrebbe omesso di valutare l’incidenza causale sull’evento lesivo delle condizioni di fatto ella strada dotate di idoneità al nocumento e imputabili all’ente custode, il carattere non anomalo o abnorme della propria condotta, la prevedibilità e prevenibilità dell’evento da parte del comune e quanto meno un eventuale concorso di colpa.
Le circostanze di fatto richiamate risultano peraltro tutte prese espressamente in esame dalla corte. In relazione ad esse, in sostanza, viene solo richiesta una diversa valutazione delle prove e un riesame del merito del giudizio.
Ma ciò non è possibile in sede di legittimità, anche considerato che al presente processo è applicabile (essendo la sentenza impugnata pubblicata in data successiva all’il settembre 2012) il nuovo testo dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del decreto legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012 n.
134, secondo cui non sono più deducibili, come in passato, genericamente vizi di motivazione, ma esclusivamente l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» (Sezioni Unite, 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054; conf.: Cass. 27 novembre 2014 n. 25216; 9 luglio 2015 n. 14324).