Con la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» del Dpcm 29/2015 prende forma il discusso progetto di monetizzazione mensile del Tfr.
Il decreto entrerà in vigore il 3 aprile.
Dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018 il lavoratore ha facoltà di chiedere al datore di lavoro che la quota di Tfr maturata ogni mese, al netto dello 0,50% (contributo che, ove dovuto, è destinato al fondo di cui alla legge 297/82) venga corrisposta in busta paga.
Si tratta di una scelta per il lavoratore che si trasforma in un obbligo per il datore di lavoro il quale può svincolarsi solo al verificarsi di determinate circostanze, le stesse che impediscono al dipendente di presentare la domanda (si veda l’altro articolo). Il datore di lavoro può, tuttavia, sospenderne l’erogazione in caso di assoggettamento a procedure concorsuali, ovvero in presenza di un accordo di ristrutturazione del debito o di un piano di risanamento, sopravvenuti. La sospensione opera nell’ipotesi di ricorso alla Cigs e/o alla Cigs in deroga (se in prosecuzione dell’integrazione straordinaria).
Per Assofondipensione il DPCM 29/2015 non regala sostanziali sorprese.
“Fino all’ultimo, tuttavia, avevamo sperato che il nuovo fondo di garanzia per le imprese con meno di 50 dipendenti potesse operare, sia per finanziare la Quir, sia l’eventuale trasferimento del TFR maturando ai Fondi Pensione. Per ora, si è persa l’occasione di spezzare una lancia a favore della previdenza complementare. Lasciando passare un messaggio quasi negativo e cioè che non si sia voluto tanto sostenere la libertà di scelta, quanto il pagamento anticipato delle imposte, dovute ad aliquote ordinarie da chi richiederà la Quir. Più che aprire un capitolo lo si è chiuso, rammentando tutti i vincoli della finanza pubblica cui ha dovuto sottostare la Legge di Stabilità. Ora, si spera che i meccanismi messi in campo per favorire l’anticipo del TFR in busta paga, con i dovuti aggiustamenti, possano venir recuperati per agevolare anche il risparmio previdenziale”, ha commentato l’associazione in una nota.