di Luca Gualtieri
Nessuno spazio per ulteriori compromessi. Ieri il governo ha posto la fiducia sul decreto banche e investimenti, che contiene la riforma delle banche popolari, e il Senato ha dato luce verde in serata. La decisione è stata annunciata proprio alla vigilia della scadenza del provvedimento, che avrebbe dovuto essere convertito in legge entro oggi.
Anche se la mossa dell’esecutivo è stata accolta con vive polemiche nell’aula del Senato, non si tratta certamente di una sorpresa. L’ipotesi di un ricorso alla fiducia era stata ventilata dallo stesso Matteo Renzi qualche settimana fa e la categoria delle popolari non si era mai fatta troppe illusioni a riguardo. Le uniche concessioni sono quelle contenute nel testo approvato dalla Camera lo scorso 12 marzo, che ieri il governo ha deciso di blindare. Per esempio, alle banche che si trasformeranno in spa è stata concessa la possibilità di inserire nello statuto un tetto ai diritti di voto in funzione anti-scalata, purché non inferiore al 5% e per un periodo massimo di 24 mesi dalla data di conversione del decreto. Ci sarà inoltre un unico voto a maggioranza semplificata dell’assemblea, l’ultimo con voto capitario, per la trasformazione in spa, le relative modifiche statutarie e l’introduzione del tetto al diritto di voto. Resta invece la soglia degli 8 miliardi di euro di attivi come asticella oltre la quale scatta l’obbligo di trasformazione in spa, su cui il governo è stato irremovibile. A questo punto la palla passa alla categoria la cui associazione di riferimento, Assopopolari, potrebbe riunire il proprio comitato direttivo nei prossimi giorni sotto la presidenza di Ettore Caselli. Finora l’associazione ha sempre evitato le contrapposizioni frontali con il governo, anche per evitare vulnus con l’autorità di Vigilanza, ma la situazione resta tesa. Se infatti gli istituti di dimensioni maggiori avrebbero già digerito il decreto e si starebbero già attrezzando per la trasformazione in spa, quelli più piccoli potrebbero scegliere di salire sulle barricate intraprendendo azioni legali contro il provvedimento, compreso il ricorso alla Consulta. Compito di Assopopolari sarà insomma quello di tenere ancora unita la categoria e di evitare spaccature all’indomani della conversione del decreto. Del resto qualche polemica si sta già affacciando tra gli associati: «L’associazione non si è mossa in tempo per anticipare un cambiamento che sarebbe stato meno radicale e meno repentino», ha incalzato ieri Gianni Zonin, presidente della Banca Popolare di Vicenza. D’altra parte molto presto Assopopolari dovrà anche ripensare il proprio ruolo all’interno del sistema bancario Oggi infatti il contributo delle banche maggiori al bilancio è cospicuo, e una loro uscita dalla compagine societaria a seguito della trasformazione in spa potrebbe creare difficoltà sul medio-lungo periodo.
Archiviata la partita parlamentare, le grandi popolari guardano già al prossimo appuntamento in scaletta, cioè quello delle assemblee di bilancio di aprile. Quest’anno l’affluenza sarà quasi certamente superiore alla media, anche perché gli stessi istituti starebbero spingendo con decisione in queste direzione. Le assemblee saranno infatti soprattutto una prova di forza e una legittimazione davanti al corpo sociale e al mercato. Dimostrando la propria capacità di mobilitazione e la coesione del corpo sociale, i vertici potranno giocare una carta in più al tavolo delle trattative con eventuali partner. (riproduzione riservata)