di Giuseppe Bonomi e Pietro Locatelli
La conclusione dell’iter del ddl 1564 (Causi/Misiani) di riforma del prestito vitalizio ipotecario (Pvi) è un convincente segno di attenzione del mondo politico a una concreta esigenza economica della popolazione anziana; ma le prospettive per lo strumento finanziario continuano a non apparire rosee. Si è già accesa la polemica nei confronti del nuovo Pvi, visto come strumento per sottrarre risparmio agli italiani, sviando l’attenzione dal vero problema (l’impoverimento reale di parte degli anziani) al quale lo strumento facoltativo per estrarre liquidità da un salvadanaio illiquido è una concreta risposta. Quel salvadanaio che i paladini della categoria degli eredi dicono di difendere, fingendo di ignorare che l’alternativa è che siano gli eredi a farsi carico delle esigenze degli anziani. I detrattori aprioristici del Pvi dovrebbero concentrare l’attenzione sul vero pericolo: la cessione della nuda proprietà (il 9% delle transazioni residenziali) che secondo Confabitare nel 2014 è aumentata del 20%.
Certo il nuovo Pvi deve essere più conveniente (e trasparente) della vendita della nuda proprietà, ma la strada che sembra tracciata in Abi (con le associazioni dei consumatori che rischiano di essere inconsapevolmente coinvolte) riflette umori e diffidenze degli istituti bancari, vanificando lo sforzo normativo di Causi e Misiani, la cui legge, rimandando a un regolamento attuativo, purtroppo non pare risolva gli ostacoli. L’abbassamento da 65 a 60 anni della soglia di accesso al Pvi è inopportuno: con il pur lodevole intento di aiutare la categoria degli esodati, si rischia di creare erronee attese per i pensionati. L’anticipo comporta infatti un drastico taglio del valore erogabile (loan to value) a causa della crescita della componente interessi. Le norme dovrebbero invece favorire l’accesso al Pvi dopo l’età pensionabile, quando vengono meno le possibilità di vita attiva e insorgono maggiori esigenze di cure.
Ben venga la facoltà di estinzione anticipata prevista dalla nuova legge, ma non è un’eventualità probabile e inoltre è già prevista dalle norme attuali (decreto Bersani). Ma l’aspetto più critico è la persistenza del principio di rientro del debito a data predefinita, cosa che nega il presupposto stesso per una vecchiaia serena: l’assenza di preoccupazioni. La prospettiva di dover ricontrattare un nuovo prestito, che deve anche assorbire l’esposizione accumulata con il Pvi scaduto, non rientra tra i desideri di un anziano e comporta anche il rischio di possibili nuovi incagli per l’istituto erogante. Sembra che la norma non voglia affrontare gli interrogativi di fondo sui rischi di credito legati ai Pvi, lasciando alte le cautele degli istituti erogatori e quindi limitando l’Ltv. Ma se per un 65 enne il valore erogabile non arriva al 50% del valore della casa, il Pvi non potrà competere con i vantaggi della vendita della nuda proprietà!
In sostanza, si osserva che il concetto di durata definita del Pvi si scontra proprio col principio di vitalizio, toccando la diffidenza di banche e altri istituti potenzialmente interessati al tema. Questo loro coprirsi dietro alla linea di associazione fa temere che siano (di nuovo) proprio le banche a non credere al prodotto Pvi: un’altra occasione persa, anche per le banche che, temendo di correre nuovi rischi di credito (che con modesti interventi potrebbero ridursi sostanzialmente) perdono invece un mercato e un servizio preziosi con interessanti correlazioni economiche. (riproduzione riservata)