di Angelo di Mattia
In una recente audizione parlamentare il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha sollevato l’esigenza di rivedere l’attribuzione della competenza di controllo sulle polizze ad alto contenuto finanziario trasferendola dalla Consob, alla quale è attribuita dalla legge sulla tutela del risparmio n. 262/2005, all’Ivass, sulla base della motivazione secondo la quale, a livello europeo, si sta privilegiando la specificità di chi progetta tali prodotti rispetto alla loro vicinanza a quelli finanziari. Il criterio che verrebbe adottato, in armonia con gli indirizzi comunitari, non sarebbe, dunque, quello della finalità, bensì quello, come si è detto, del soggetto che confeziona lo strumento assicurativo-finanziario, verosimilmente nel presupposto che in questo modo si possa meglio esplicare la Vigilanza da parte della specifica Authority. E non è l’unico aspetto della legge sulla tutela del risparmio che merita di essere cambiato, quel provvedimento fu raffazzonato, predisposto con tutta urgenza, dopo che si erano dovute abbandonare, perché non sarebbero state approvate, versioni precedenti che avrebbero voluto spogliare la Banca d’Italia di diversi e significativi poteri, tra l’altro, istituendo una sorta di superorgano di Vigilanza.
Lo scopo della rapidità impressa dall’allora ministro Tremonti era quello di infliggere un colpo alla Banca d’Italia che, alla fine, si sarebbe riflesso sulla sua autonomia. Di qui, in particolare, le norme di facciata sul coordinamento tra le autorità, e anche l’intervento sulla limitazione della durata in carica del governatore e dei membri del direttorio, facendo apparire tale durata come senza limiti, a vita, quando, invece si trattava di una investitura a tempo indeterminato ma soggetta a revoca. La ulteriore conseguenza fu il carattere strampalato della collegialità che fu introdotta nel vertice dell’Istituto, prevedendo che i membri del direttorio, ancorché articolati su posizioni gerarchico-funzionali diverse, poi, quando sono chiamati collegialmente ad assumere provvedimenti concernenti l’esercizio di funzioni istituzionali con rilevanza esterna dispongono tutti di un voto paritario. Di qui, ancora, la sottrazione alla Banca d’Italia della tutela della concorrenza – sulla base della bizzarra idea che la concorrenza confligge con la tutela della stabilità – per passarla all’Antitrust. La citata legge per questi e diversi altri aspetti andrebbe rivista a fondo. Ma, soprattutto, anziché valutare singoli trasferimenti di particolari competenze da un’authority all’altra, sarebbe finalmente venuto il momento di una generale riforma di tali autorità, tante volte annunciata e altrettante volte abbandonata.
Del resto, esistono valide ragioni per ritenere nei prodotti in questione prevalente il carattere finanziario, dunque per ribadire la competenza della Consob. Di recente, abbiamo dato notizia su queste colonne del presunto, squinternato progetto di riconduzione di tutte le attività della stessa Consob alla Banca d’Italia. Di esso non si è poi saputo più nulla perché evidentemente sarà morto nella culla: i promotori si saranno accorti della bizzarria di un tale progetto che ci avrebbe esposti al ridicolo in sede internazionale. Ma, eliminata provvidenzialmente l’ipotesi cervellotica della fusione della Consob nella Banca d’Italia ciò non significa che il sistema delle autorità di regolazione, controllo e garanzia non debba essere riformato. Fa parte di questa operazione la decisione, una buona volta, sulla collocazione della Covip, l’autorità di controllo sui fondi pensione, per la quale si sta ricostituendo il vertice, quando, piuttosto, vi sarebbe, in questo caso fondatamente, una sola iniziativa da promuovere, quella, cioè, di ricondurre le funzioni di questa commissione alla Banca d’Italia per i profili di stabilità (e alla Consob per la trasparenza e correttezza). L’omogeneità con la tutela del risparmio per esigenze di stabilità e di sana e prudente gestione postula l’affidamento di questo tipo di sorveglianza, per la parte prevalente, alla Banca d’Italia. Durante il governo Monti la decisione della soppressione della Covip e del passaggio all’Istituto di Via Nazionale delle funzioni citate era stata inclusa in un decreto-legge, ma poi venne espunta anche per le pressioni esercitate da diverse parti. Una riarticolazione delle attribuzioni delle autorità intervenienti nella materia del credito e del risparmio basata su di una impostazione finalistica-funzionale sarebbe oggi la scelta migliore da compiere, nel cui contesto si assumerebbe la decisione sulla Covip. La opportunità di mantenere una determinata rappresentanza delle organizzazioni sindacali nella materia del controllo dei fondi pensione potrebbe realizzarsi istituendo, a latere della Vigilanza, un comitato meramente consultivo, con il rilascio sulle linee generali di pareri obbligatori ma non vincolanti, che si riunisca a periodicità trimestrale o quadrimestrale. Si evitino, dunque, trasferimenti di singoli compiti che, per di più, potrebbero lasciare intendere che, per il resto, non vi sia nulla da rivedere, quando non è proprio così. La micro-legiferazione può essere anche un danno.
A una complessiva operazione di riforma generale potrebbe muoversi l’obiezione secondo la quale sarebbe bene attendere l’eventuale evoluzione dell’architettura europea delle autorità per privilegiare un isomorfismo con esse. L’esigenza non è infondata, soprattutto se si ha presente, nel campo finanziario, la confusione di legislatori e di testi normativi che domina in Europa. Ma l’attesa di una doverosa riforma potrebbe diventare un comodo alibi, nell’incertezza dei tempi e dei contenuti. D’altro canto, il rafforzamento degli organi di controllo sarebbe il naturale corollario dell’iniziativa promossa del Tesoro con l’autorità anti-corruzione. Certo occorrerà ben definire i rapporti delle autorità con il governo e il Parlamento, il tipo di responsabilità di coloro che agiscono nel nome delle stesse autorità, l’impugnativa delle decisioni adottate: argomento, quest’ultimo, che sta diventando di particolare rilievo dopo la secca bocciatura decisa dal Consiglio di Stato del provvedimento di messa in amministrazione straordinaria dellaBanca Popolare di Spoleto: una decisione giurisdizionale che sopravviene a due anni dal provvedimento in questione e rappresenta una novità assoluta nella storia della Banca d’Italia; ha a che fare con la perizia nella stesura dell’atto e con la ricorrenza dei presupposti sostanziali e procedurali. Ma il fatto è di particolare gravità, se appunto vi sono state carenze, e richiede una più ampia riflessione. Ciò comporta il rafforzamento della necessità di procedere con organicità e non considerando le norme come «disiecta membra». (riproduzione riservata)