Italiani in fuga dal paese (e dalla voluntary disclosure). Il 2014 è stato un anno record per i cambi di residenza verso l’estero: alla data del 31 dicembre scorso i cittadini iscritti all’Aire hanno superato quota 2,4 milioni. Eccezion fatta per la Germania, che da sempre rappresenta il paese più popolato di italiani, resta la Svizzera la meta preferita, con circa 352 mila residenti. Tra le destinazioni più in crescita Emirati Arabi (+29%), Panama (+23%) e Singapore (+16%). Un trend che può essere spiegato non solo dalla crisi e dalle nuove opportunità di business: per molti italiani che detengono capitali irregolari oltre confine prendere la residenza all’estero può sembrare la risposta definitiva al rischio di subire un’indagine fiscale dagli esiti pesantissimi in chiave economica e penale. Ma mentre il mondo si muove deciso verso lo scambio automatico di informazioni, basato sul common reporting standard dell’Ocse, la «fuga» potrebbe rivelarsi nella migliore delle ipotesi un modo per guadagnare un paio di anni di tempo prima di doversi rivolgere a un nuovo paradiso fiscale, sempre più esotico e sempre meno affidabile dal punto di vista politico e finanziario. Nella peggiore delle ipotesi, il trasferimento di residenza potrebbe rappresentare per l’Agenzia delle entrate proprio una fonte di innesco per approfondire la situazione del contribuente, senza dover attendere lo scambio di informazioni. Fermo restando che fare le valigie non metterebbe comunque al riparo gli «esuli» da possibili contestazioni per il passato, laddove la collaborazione tra tax authorities operi in maniera retroattiva sulla base di particolari accordi bilaterali (i tre protocolli siglati di recente dall’Italia con Svizzera, Liechtenstein e Montecarlo prevedono tuttavia il giorno della firma come data di avvio della collaborazione su richiesta). A sottrarsi al fisco italiano, tuttavia, non c’è solo chi detiene patrimoni illeciti e non ha intenzione di regolarizzarli tramite la collaborazione volontaria. Tra gli emigranti dei giorni d’oggi c’è anche chi, più o meno facoltoso, decide di sopportare un minor carico fiscale e vuole pianificare il proprio futuro con una maggiore certezza normativa (si veda ItaliaOggi del 18 dicembre 2014). In questo caso, però, l’operazione deve rispettare stringenti limiti, che la legge, la prassi e la giurisprudenza hanno fissato nel tempo per evitare abusi. In primis perché l’articolo 2, comma 2-bis del Tuir considera residenti in Italia i cittadini italiani iscritti all’Aire che si trasferiscono in un paese black list. In questo caso è il contribuente a dover dimostrare che la residenza estera è reale: non sono sufficienti i 183 o più giorni per anno solare trascorsi all’estero, perché ad attrarre la residenza (e quindi la tassazione, con contestuale compilazione del quadro RW) possono essere legami familiari, affettivi, la disponibilità di immobili, utenze domestiche, cariche societarie, uso frequente di carte di credito in Italia o iscrizione in circoli sportivi. Affinché il trasferimento sia concreto, quindi, ogni legame economico e personale con il paese deve essere reciso in maniera pressoché totale.