di Marino Longoni
I grandi giornali e i talk show televisivi non se ne sono quasi accorti, ma dal 2 aprile entrerà in vigore il decreto legislativo sulla depenalizzazione dei reati minori che rischia di allargare in modo drammatico la frattura tra lo Stato e la gente comune. Molto spesso chi subirà un furto, uno scippo, una minaccia, una truffa o una frode informatica non avrà più nessuno a cui rivolgersi per ottenere giustizia. D’altro canto, il ladro, il truffatore, il bullo, lo scippatore, si rallegreranno del fatto che, anche se scoperti, non dovranno più rispondere dei loro atti. Nella giustizia penale entra il diritto di essere perdonati. L’Italia, insomma, si candida a diventare il paese di Bengodi, ma per solo per i disonesti. In altri termini, la giustizia penale rinuncia, anche formalmente, a dare risposte concrete alle istanze di sicurezza, giustizia e prevenzione, che arrivano dalle fasce più esposte della popolazione, dalle periferie delle grandi città, dalle piccole imprese.
Non che adesso chi subisce un furto o un’aggressione fisica da parte di un vicino di casa manesco vada a fare la denuncia con la speranza che qualcuno si dia da fare per dargli giustizia, ma sapere che la denuncia si trasformerà automaticamente in una sentenza di proscioglimento del reo nel caso questo fosse identificato è deprimente. Resteranno insomma impuniti reati come truffa, violazione di domicilio, danneggiamento, raggiro, invasione di edifici, furto, frode assicurativa, intercettazione di telefonate, falso in bilancio, corruzione, aggiotaggio, e la maggior parte degli eco-reati. Ci si potrebbe chiedere che senso ha versare metà del reddito allo Stato a titolo di imposte quando questo si dice impotente a perseguire quei comportamenti che, anche se non finiscono nei telegiornali, turbano non poco la vita quotidiana delle persone oneste. Il messaggio che lo Stato sta lanciando ai cittadini italiani è desolante: arrangiatevi.
Nella relazione di accompagnamento al decreto legislativo sulla depenalizzazione dei reati minori, si insiste naturalmente sulla opportunità di sostituire la tutela penale con quella civile, cioè con la possibilità per la parte offesa di ottenere il risarcimento economico del danno subito. Ma si tratta di una tutela del tutto virtuale. Perché un processo civile ha esiti incerti e tempi e costi tali da scoraggiare la maggior parte delle vittime. Senza contare che molto spesso l’autore del reato potrebbe essere poco o nulla solvibile, quindi una eventuale condanna si trasformerebbe nell’ennesima beffa per la vittima. In ogni caso verrà a mancare il pungolo che, spesso, la sentenza penale di condanna costituiva in ordine al risarcimento del danno fissato in sede civile (per esempio quando il patteggiamento viene subordinato al risarcimento).
L’obiettivo che certamente sarà raggiunto dalla depenalizzazione sarà lo svuotamento (temporaneo) delle carceri. E delle scrivanie dei magistrati, che così potranno dedicarsi a perseguire con maggior cura i reati più gravi (o politicamente più intriganti). (riproduzione riservata)