Il macigno è costituito dagli oltre 2 mila miliardi di debito pubblico, che ogni anno costa all’Italia tra gli 80 e i 90 miliardi di interessi a seconda dell’andamento dei mercati. Risorse che vengono sottratte all’economia reale, contribuendo a rinviare la ripresa. Partendo da questo dato, periodicamente torna ad affacciarsi nel dibattito politico-economico l’ipotesi di introdurre un’imposta patrimoniale, tema caldo anche nei giorni dell’insediamento del governo Renzi, sebbene il sottosegretario alla presidenza, Graziano Delrio, abbia smentito l’eventualità.
Le pressioni internazionali. Le pressioni maggiori per l’istituzione di un’imposta sui patrimoni da parte dei paesi Ue in difficoltà arriva dalla Bundesbank. «Per uno Stato in emergenza a rischio default, l’introduzione di una tassa patrimoniale è il male minore», è la convinzione di Jens Weidmann, presidente della Banca centrale tedesca, con un’allusione al dibattito italiano. Un’uscita accompagnata dalle critiche alla linea scelta da Mario Draghi alla guida della Bce, che ha assicurato il massimo impegno di Francoforte in difesa dell’euro, anche con l’acquisto illimitato di titoli sovrani dei Paesi dell’Eurozona in difficoltà.
Non è la prima volta che la Bundesbank si esprime così. Il discorso vale soprattutto per le famiglie italiane, che secondo uno studio dell’istituto tedesco hanno un patrimonio medio di 163.900 euro, triplo rispetto a quelle tedesche (51.400 euro). Secondo le rilevazioni, il 68,4% delle famiglie possiede da noi un’abitazione, contro il 44,2% della Germania. Lo stesso ragionamento si sta facendo strada all’interno del Fondo monetario internazionale, che qualche mese fa ha lanciato l’ipotesi di un prelievo straordinario del 10% sul patrimonio delle famiglie.
Consensi trasversali in Italia. La tendenza prevalente, tra i politici in carica, è a escludere seccamente l’ipotesi di un’imposta patrimoniale. In realtà, dietro le quinte, si studia l’ipotesi e periodicamente emerge una proposta, come ami lanciati per saggiare la reazione dell’opinione pubblica.
In favore di questa misura si sono espressi banchieri e manager di impostazioni differenti come Luigi Abete (nella misura dell’1 per mille della ricchezza), Pietro Modiano (proponendo un prelievo sul 10% più ricco della popolazione), Vito Gamberale, Pellegrino Capaldo (con un’imposta sull’aumento di valore degli immobili) e Giuliano Amato (con un prelievo limitato al 30% più ricco). Quest’ultimo nel 1992, da primo ministro e sotto il fuoco della speculazione contro la lira, mise in campo una patrimoniale, inventando il prelievo del sei per mille sui conti correnti e un’imposta dell’1 per mille sulle case. Nelle casse dell’Erario entrò l’equivalente di 6 miliardi di euro, che diedero respiro ai conti pubblici solo per pochi mesi, considerato che poi la lira fu comunque svalutata. Di recente si è saputo che anche Corrado Passera nel 2011, quando era ancora a capo di Intesa Sanpaolo, aveva messo a punto un piano di rilancio dell’Italia, che tra le altre cose passava per un’imposta patrimoniale del 2% sulla ricchezza finanziaria e immobiliare degli italiani (escluse le prime case). Una misura che avrebbe portato in cassa circa 85 miliardi di euro nell’arco di tre anni.
Da ministro dello Sviluppo economico nel governo Monti Passera ha messo in soffitta questo piano e non risulta interessato a riproporlo oggi che si prepara alla carriera politica in proprio. Nello stesso periodo aveva palesato un piano simile Alessandro Profumo (all’epoca aveva da poco lasciato la guida di Unicredit, oggi è presidente di Mps), auspicando un intervento una tantum da 400 miliardi di euro, per far calare il rapporto tra debito dal 120 a circa il 90% del pil. La sua proposta non incontrò grandi favori e il rapporto tra i due indicatori è salito oltre il 132%, anche per via di 50 miliardi di aiuti concessi dall’Italia ai Paesi in difficoltà. Persino il presidente della Confindustria Giorgio Squinzi ha aperto alla patrimoniale al termine di un confronto con il numero uno della Cgil Susanna Camusso, a patto che l’imposta non vada a toccare le imprese.
Renzi assicura che non si farà, ma Padoan_ «Non faremo una patrimoniale». In una delle prime uscite pubbliche come sottosegretario alla presidenza del consiglio, Graziano Delrio ha escluso l’ipotesi, confermando quanto detto dal neo premier Matteo Renzi: «La priorità oggi è ridurre le tasse». Con la sola eccezione di una possibile revisione al rialzo dell’imposta sulle rendite finanziarie. Tuttavia il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, durante il suo mandato come capo economista dell’Ocse, non ha escluso questo intervento come extrema ratio per i Paesi in difficoltà, ricordando che «ci sono tasse più dannose allo sviluppo (sulle imprese e sul lavoro) e altre meno dannose, come quelle sui consumi e sui patrimoni».