di Roberta Castellarin e Paola Valentini
«Bisogna togliere ciò che è in eccesso». Con questa frase presa a prestito dal grande Michelangelo, il premier Matteo Renzi ha sintetizzato i suoi programmi di governo alla cancelliera tedesca Angela Merkel incontrata a Berlino. Una frase pronunciata dall’artista fiorentino mentre realizzava tra il 1501 e il 1504 la scultura del David.
E certo, oggi, in Italia di cose da sfoltire ce ne sono parecchie. In primis nella burocrazia e Renzi si riferiva proprio a questa con quella citazione. Ma il presidente del consiglio potrebbe avere in mente obiettivi più ambiziosi. A partire dal tema della previdenza dove per ora l’unico protagonista della politica italiana che ha citato la necessita di interventi per ridurre dell’1% la spesa pubblica nella previdenza, che ammonta ogni anno a 270 miliardi di euro, è stato il commissario alla spending review Carlo Cottarelli. Lo stesso Renzi ha smentito che il governo intende toccare le pensioni, al massimo si potrebbe ragionare su un contributo di solidarietà sulle pensioni più elevate che potrebbe scattare nel 2015. Ma di spazi per ridurre ancora la spesa previdenziale italiana ce ne sono sul fronte degli abusi, come rileva lo stesso Cottarelli. Per il resto bisognerà aspettare il pieno dispiegarsi sui conti dello stato della severa riforma Fornero, che ha drasticamente aumentato l’età di addio al lavoro introducendo il meno generoso calcolo della pensione con il metodo contributivo al posto del retributivo.
Con questi interventi varati nel 2012 il sistema previdenziale nei prossimi anni, come stima l’Inps, si troverà a risparmiare una cifra che fino al 2021 potrà arrivare a 80 miliardi rispetto alle normative precedenti, tenendo conto dei costi delle salvaguardie. Con effetti devastanti per i lavoratori alle prese con precarietà e buchi contributivi che alleggeriscono il loro salvadanaio previdenziale. Ecco perché accanto agli interventi per togliere il superfluo il governo dovrebbe anche pensare a nuove misure per rimpolpare gli assegni di quei cittadini che di eccesso hanno ben poco.
La generazione di chi oggi ha 30-40 anni risente della crisi che incide sull’evoluzione della retribuzione e sulla possibilità di fare carriera e dovrà contare su un puro assegno contributivo senza alcun intervento da parte dello Stato. Come ricorda Fabio Ortolani, presidente di Fonchim che ha partecipato all’incontro, «La pensione di domani: si salvi chi può!», organizzato dal Rotary Club. «Il tema della crescita dell’economia Italiana, quale fattore fondamentale per il futuro pensionistico degli italiani», dice Ortolani. «La scarsa crescita del pil italiano si ripercuote pesantemente sulla rivalutazione dei contributi versati all’Inps che serviranno a calcolare la pensione dell’iscritto. La questione interessa particolarmente i giovani, coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e che rientrano nel cosiddetto criterio di calcolo contributivo. In pratica, con il versamento dei contributi il dipendente accantona il 33% della sua retribuzione, formando il cosiddetto montante contributivo che viene rivalutato in base al pil che, come sappiano, è un indice che riflette la capacità di un paese di far girare l’economia».
Secondo il presidente di Fonchim, «considerato l’andamento dell’economia italiana in questi ultimi anni, c’è da esprimere una forte preoccupazione per il futuro dei giovani italiani e soprattutto ribadire l’importanza della previdenza complementare, l’unica in grado di compensare i mancati introiti del primo pilastro».
Chiede un impegno in questo senso a gran voce anche Assogestioni, che in occasione dell’annuncio del Governo Renzi di avviare un aumentare dal 20 al 26% l’aliquota sulle plusvalenze degli strumenti di investimento, con l’eccezione dei titoli di stato italiani ed europei (che rimangono al 12,5%) e dei conti correnti e di deposito (al 20%), ha ricordato al premier che questa può anche essere un’occasione per introdurre nuove forme di incentivo al risparmio di lungo termine. Una formula peraltro già prevista dal decreto 13 agosto 2011 n. 138 che ha introdotto in Italia i piani di risparmio a lungo termine (Pir). L’agevolazione dovrebbe consistere, in linea con quanto previsto da quel decreto, nell’applicazione dell’aliquota del 12,5% in luogo di quella ordinaria del 20% sui redditi conseguiti da privati con riferimento alle attività finanziarie detenute nell’ambito dei Pir aventi una durata non inferiore a un determinato arco temporale (ad esempio, cinque anni). Ma da allora i Pir sono rimasti sulla carta.
Oggi, forte degli oltre 1.300 miliardi di euro gestiti dalle sue associate e di un boom della raccolta, la Confindustria del risparmio gestito torna a fare pressing per far nascere anche in Italia i cosiddetti Pir, programmi di investimento a lungo termine fiscalmente agevolati, che vigono negli paesi europei e le cui linee guida sono state definite già nel 2011, rimanendo finora solo sulla carta. Francia e Regno Unito hanno introdotto da molti anni tali agevolazioni con i Plan d’épargne en actions (Pea) e gli Individual Savings Accounts. Sempre per allinearsi agli standard europei Assogestioni preme anche per l’abolizione del prelievo dell’11% sulla maturazione dei rendimenti delle forme previdenziali. «Tale prelievo è in diretto contrasto con l’indicazione dell’Unione di esentare il rendimento nella fase di accumulo. Questo allineamento all’Europa è ancora più necessario dopo la riforma della previdenza che ha ulteriormente ridotto la copertura previdenziale di primo pilastro», ha sottolineato Assogestioni. Non a caso il tema del risparmio a lungo termine sarà al centro dell’edizione 2014 del Salone del risparmio organizzato dall’associazione dei gestori a Milano dal 26 al 28 marzo (articolo qui sotto) L’obiettivo finale dei Pir è migliorare l’efficienza dei portafogli di investimento delle famiglie italiane, notoriamente concentrati su asset a basso profilo di rischio e orizzonti di breve, e quindi aiutarle a risparmiare meglio anche in un’ottica previdenziale di lungo periodo. Assogestioni ha più volte manifestato un forte interesse per questa tipologia di strumenti. Alcuni Stati hanno già introdotto soluzioni di questo tipo facendo ricorso alla leva fiscale per aiutare i cittadini a rendere più efficienti i propri portafogli. Negli Stati Uniti, ma anche in alcuni Stati europei come Francia e Gran Bretagna, sono stati creati degli incentivi di natura tributaria per portafogli che contengano almeno una quota di attività finanziarie a più elevato profilo di rischio e/o investiti per un periodo di tempo minimo prestabilito. In Italia non si è ancora entrati nel merito delle caratteristiche di questi strumenti, ciò che sembra chiaro è che i Pir, non saranno alternativi o sostitutivi alla previdenza complementare.
Ma questi strumenti si potrebbero affiancare sia alla previdenza integrativa su base collettiva (secondo pilastro) sia a quella su base individuale (terzo pilastro), in una logica di complementarietà. I Pir renderebbero più completo l’assetto del sistema previdenziale italiano con l’introduzione anche in Italia di uno strumento di quarto pilastro per permettere ai lavoratori di costruire un vero e proprio portafoglio combinato di più veicoli di carattere finanziario o assicurativo. Per Assogestioni i destinatari dell’aliquota agevolata dovrebbero essere soltanto le persone fisiche, in quanto costituiscono la categoria di investitori che rivela una minore capacità di gestione del rischio connesso alle turbolenze dei mercati.
Molte aspettative da parte dell’industria dell’asset management sono riposte anche nel decreto ministeriale 703/96 che stabilisce i limiti degli investimenti dei fondi pensione. Il decreto è attualmente nelle mani del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, con la speranza degli addetti ai lavori della previdenza che il provvedimento di cui si parla da oltre quattro anni possa finalmente essere approvato. «È auspicabile», osserva Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza, «che il nuovo decreto ministeriale 703/96 consegni alle forme complementari maggiore libertà di manovra in materia di investimenti, secondo un modello trasparente, affidando loro un ruolo più attivo nel controllo dei rischi e favorendo lo sviluppo del mercato finanziario attraverso l’ingresso di investitori istituzionali come le forme complementari nel mondo degli investimenti verso settori quali l’ambiente, la ricerca, l’innovazione, le infrastrutture, le energie alternative, il sostegno alle pmi». Un invito a non guardare il risparmio dunque solo come un asset da tassare, ma come una risorsa per far ripartire il Paese. (riproduzione riservata)