di Roberta Castellarin
Come rendere l’Italia un’isola di prosperità? È la domanda a cui dovrà rispondere il governo guidato da Matteo Renzi, che la prossima settimana presenterà il Jobs act, il piano destinato a rilanciare l’occupazione. L’invito arriva dal presidente della Bce Mario Draghi, il quale giovedì 5 marzo a Francoforte ha ricordato che l’Eurozona «Deve diventare luogo di prosperità e di creazione di posti di lavoro», perché essere un’isola di stabilità non basta più.
Un invito importante perché dalla prosperità di oggi dipendono anche le pensioni di domani.
Senza crescita del pil non ci sarà infatti un futuro sereno, né per i giovani né per chi si avvicina alla pensione. Ma non può stare tranquillo nemmeno chi in pensione c’è già e deve fare i conti con il congelamento dell’indicizzazione. O con la minaccia che dalla guerra alle pensioni d’oro si passi poi a quelle d’argento e si arrivi fino a tutti gli assegni retributivi.
Ricorda che il tema delle pensioni è strettamente legato a quello del lavoro anche Cesare Damiano, presidente della Commissione lavoro alla Camera dei Deputati: «Il tema delle pensioni non può essere ignorato dal presidente del Consiglio, a partire dal problema degli esodati. Bisogna correggere la riforma Fornero introducendo un moderno criterio di flessibilità nel sistema pensionistico, significa aprire le porte delle aziende ai giovani.
Se le vecchie generazioni saranno costrette a restare al lavoro fino a 67 anni, i loro figli e nipoti resteranno a casa in attesa di un lavoro che non c’è». Certo il tema della flessibilità in uscita deve confrontarsi con quello della copertura finanziaria. In un momento in cui si cercano risorse per tagliare il cuneo fiscale sarà difficile che si vada ad attenuare una riforma che ha consentito allo Stato di risparmiare circa 80 miliardi di euro in pochi anni.
Ma almeno uno sforzo andrebbe rivolto alla previdenza complementare, che in Italia fa davvero fatica a prendere piede soprattutto tra i lavoratori più giovani. Sottolinea Sergio Corbello, Presidente di Assoprevidenza: «La ricetta per il rilancio, o meglio per un reale sviluppo della previdenza complementare, mi sembra piuttosto semplice e, come tutte le cose semplici, assai ardua da realizzare». Secondo Corbello occorre un effettivo e duraturo sviluppo economico; l’individuazione di più semplici modalità di adesione ai fondi pensione e una reale percezione da parte dei cittadini dei bisogni pensionistici. Non solo. Aggiunge Corbello: «Occorre il superamento delle barriere tra previdenza e assistenza complementare, al fine di realizzare un welfare integrato, e la determinazione dei fondi pensione a impiegare le risorse nell’esclusivo interesse degli aderenti, senza perseguire finalità diverse». Partendo dal nodo chiave della crescita economica, Corbello sottolinea: «è intuitivo che se non c’e sviluppo non si va da nessuna parte, e questo vale non soltanto per la previdenza complementare. Data quindi per scontata l’imprescindibile necessità di acquisire un trend economico positivo, bisogna considerare la volontà collettiva di aderire ai fondi pensione, salvo il diritto del singolo a rinunciare al piano previdenziale, nell’ambito di una maggior flessibilità del settore». Aggiunge Corbello: «Questo si potrebbe ottenere attraverso un’evoluzione interpretativa delle leggi vigenti, senza riaprire sul punto una difficile elaborazione di nuove norme. Anche nell’ottica operativa, restano fondamentali informazioni puntuali circa il livello delle prestazioni ottenibili dalla previdenza di base. Se non si ha sin da giovani coscienza di questo dato, non si coglierà l’importanza strategica della pensione di secondo pilastro».
Ma sul tavolo c’è anche la necessità di una maggiore sinergia tra le diverse forme di integrazione del Welfare: «Ragioni di semplificazione del sistema consiglierebbero di consentire, fatta salva ogni tutela di rigida separatezza patrimoniale e contabile, di erogare prestazioni pensionistiche e sanitarie complementari a opera di un ente unico, che dovrebbe altresì assicurare agli iscritti coperture di Long term care», dice il presidente di Assoprevidenza. Che avverte: «Le forme pensionistiche dovrebbero porre in essere investimenti sempre e soltanto nell’esclusivo interesse degli iscritti, circostanza che non esclude ricadute positive in altri campi, ma come effetto derivato, non come obiettivo perseguito. La regola da ultimo enunciata vale tanto per gli amministratori delle forme previdenziali quanto per i governi, che debbono astenersi da qualsivoglia tentazione dirigistica o, peggio, nei confronti dei patrimoni dei fondi pensione».
Sul tema delle risorse da destinare alla previdenza complementare, Alberto Brambilla, coordinatore del comitato tecnico scientifico di Itinerari Previdenziali, ha ricordato più volte che le risorse, nonostante la crisi, ci sarebbero. «Gli italiani hanno speso 24 miliardi, pari a 1.260 euro pro capite, in giochi e scommesse, contro i 3,7 miliardi investiti nei fondi pensione, pari a 664 euro per ciascun giocatore», ha ricordato Brambilla. Tanto più che in campo previdenziale, prima si inizia a risparmiare meglio è. «Per tutti i giovani che hanno cominciato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, l’integrazione al minimo non ci sarà più, e non ci saranno neppure le maggiorazioni sociali; se non hanno versato a sufficienza, dovranno lavorare anche da vecchi».
Rosario Altieri, presidente Agci e co-presidente dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, chiede al nuovo governo coerenza, determinazione e tempestività nell’intraprendere una politica di sviluppo, che sia in linea con le caratteristiche del nostro sistema imprenditoriale, costituito per oltre il 98% da piccole e medie imprese, che assicurano il 75% del pil, tra cui circa 60 mila cooperative che contribuiscono, direttamente e indirettamente, per circa il 10% del prodotto lordo, «abbandonando la strada dei finanziamenti a pioggia o a fondo perduto in favore di interventi strutturali in grado di consentire quel necessario recupero di competitività sul mercato nazionale e su quelli internazionali». (riproduzione riservata)