Paolo Possamai
L a scommessa di Mario Greco è alla prova dei fatti. Mercoledì l’amministratore delegato di Generali presenta il bilancio 2013, il primo da lui interamente firmato. Stando alle previsioni il risultato operativo dovrebbe essere di circa 4,3 miliardi e l’utile netto di 2,2. Se le cifre saranno confermate, vorrà dire che Greco avrà cominciato a vincere la sfida: tornare a fare l’assicuratore in via esclusiva, sfrondando partecipazioni, patti di sindacato, private equity. a pagina 15
D a mercoledì parlano i numeri. Bando alle polemiche sulla passata gestione, che hanno infuocato la vita di Generali dall’estate scorsa. Interessa a Mario Greco parlare con i numeri. Interessa non di meno agli azionisti. Con la presentazione del bilancio 2013, Il primo interamente firmato da Greco, inizierà a emergere la coerenza tra i target indicati dall’amministratore delegato e i risultati effettivamente conseguiti. Un fattore appare determinante nel giudizio: la crescita del risultato netto se le cifre ufficiali confermeranno i rumors – dovrebbe venire interamente dalla gestione, senza che vendite e partite straordinarie influiscano sul dato. Al riguardo va segnalato che i report di Intermonte e Deutsche Bank, datati uno 18 e l’altro 19 febbraio, allineano il risultato operativo rispettivamente alla soglia di 4,28 e di 4,4 miliardi di euro, mentre l’utile netto oscilla tra 2,15 e 2,2 miliardi per il riflesso di una folta serie di eventi irripetibili (per esempio 600 milioni di tasse su cessione di assets).
Se tali previsioni saranno aderenti alle cifre su carta intestata del Leone, vorrà dire che la compagnia triestina si è avviata sul percorso tracciato da Greco. Nel frattempo, i report mirano a target price di 18,5 euro per Intermonte e di 19,8 per gli analisti di Db Markets Research. Di facile nella scommessa lanciata da Greco ormai un anno e mezzo fa, c’è solo la sintesi: tornare a fare l’assicuratore in via esclusiva, ossia de-finanziarizzare il gruppo. Ma è pure evidente che – sfrondando partecipazioni, patti di sindacato, ‘investimenti alternativi’, private equity concentrando tutta l’azione sulla vendita delle polizze, emerge senza sconti se la gestione caratteristica sta in piedi e se l’ambizione di inseguire Allianz e Axa sul piano degli utili trascolora nella velleità. La scommessa di Mario Greco in effetti è articolata in una serie di azioni. Una di queste consiste nel ripartire fifty-fifty i ricavi tra segmento Vita e ramo Danni. Il rapporto a Trieste assegna storicamente alla prima componente un peso doppio della seconda. Ma i Danni sono assai più profittevoli: basti pensare che i rendimenti lordi delle gestioni Vita a marchio Generali assai raramente sono inferiori al 4% e in alcuni casi superano la soglia del 5, rendimenti garantiti ai sottoscrittori che evidentemente per Generali non è agevole spesare con propri investimenti di traino superiore. Il segmento Danni, per converso, anche per effetto della riduzione del traffico veicolare indotta dalla grande crisi, ha indici in progresso. Nei primi 9 mesi dell’anno passato, il dato cosiddetto loss ratio che indica il peso dei sinistri sui premi è sceso al 68,3% (dal precedente 69,5%), mentre il combined ratioche contiene sinistri e spese è calato di un punto e mezzo al 95,1%, marcando dunque la crescita della redditività del business. In funzione di tali obiettivi viene la radicale riorganizzazione avviata nel secondo semestre dello scorso anno in Italia e più di recente in Francia, ossia in due paesi che continuano a essere fondamentali nelle dinamiche complessive del gruppo. Lo diranno ancora i numeri che saranno presentati il prossimo 13 marzo. Ma a proposito di aree geografiche, nella conference call verrà fuori pure il ruolo sempre più significativo dell’Est Europa, cui difatti Greco intende dedicare investimenti ad hoc (un solco di continuità con la strategia perseguita dal Ceo Giovanni Perissinotto, artefice della originaria joint venture con la Ppf di Peter Kellner). Ma i profitti indicati nel piano industriale mai potrebbero venire solo per crescita dei ricavi. Una vera sfida consiste nei target per il contenimento dei costi: dal 2015 sono attesi risparmi e maggiore efficienza per 1,6 miliardi. Da questa leva dovrebbe derivare, sempre a partire dal 2015, un free cash flow superiore ai 2 miliardi, con gli indici Solvency 1 oltre la soglia del 160% e il debt leverage ratio al di sotto del 35% e, infine come combinazione di tutti questi fattori, il superamento del 13% per il Roe. In materia di risparmi sui costi, il piano prevede una progressione dai 200 milioni previsti per il 2013, ai 520 per l’anno in corso, fino a raggiungere il miliardo dal 2016. Dentro a tali macro-cifre è contenuta una miriade di azioni sul versante dell’infrastruttura informatica (da 12 a 2 data center in Europa), delle piattaforme informative (da 21 a 5), della logistica (per esempio: da 26 sedi a una a Parigi), della catena dei fornitori e dei consulenti. L’esito finale di questo insieme di cantieri di ristrutturazione del modello gestionale e di forma mentis consiste appunto nella cifra tonda tonda di un miliardo. Sta qui la sfida di Greco, che con gli azionisti ha stretto un patto semplice a parole: raddoppiare la redditività vendendo polizze, senza chiedere aumenti di capitale e, dunque, finanziando la riorganizzazione solo con i proventi da cessioni non core e con la gestione caratteristica. E tutto questo scontando comunque le svalutazioni di tanti errori o scelte ‘obbligate’ del passato, da Telco a CityLife a Rcs. Alla fine della scommessa, ironia della sorte, una quota importante di alcuni degli attuali principali azionisti – da Mediobanca a Cdp, da Ferak a Effeti potrebbero cedere attorno al 12% di Generali – dovrebbe passare di mano. Equilibri nuovi tutti da immaginare, che indurranno ulteriori cambiamenti al vecchio Leone. A sinistra, dall’alto, Alberto Nagel, ad di Mediobanca e Leonardo Del Vecchio presidente di Luxottica I CONTI I report di Intermonte e Deutsche Bank, datati uno 18 e l’altro 19 febbraio, allineano il risultato operativo di Generali per il 2013 rispettivamente alla soglia di 4,28 e di 4,4 miliardi di euro, mentre l’utile netto oscilla tra 2,15 e 2,2 miliardi per il riflesso di una serie di eventi non ripetibili (per esempio 600 milioni di tasse su cessione di assets).