La prudenza è stata la cifra distintiva dell’azione di Banca d’Italia durante l’ultima crisi finanziaria. Una prudenza che ha indiscutibilmente irrobustito i fondamentali degli istituti di credito, ma che talvolta è parsa esasperata ed esasperante a molti banchieri. L’ultima richiesta di Via Nazionale in ordine di tempo riguarda l’aumento degli accantonamenti sui crediti deteriorati, una politica che sta lasciando il segno sui bilanci delle principali banche quotate.
Non c’è dubbio che la strategia di Bankitalia risponda a un problema concreto.
Già nei nove mesi del 2012 le sofferenze dei primi sei gruppi quotati a Piazza Affari sono cresciute del 16% attestandosi a 46,18 miliardi, mentre il complesso dei crediti deteriorati è salito a 113 miliardi dai 92 di fine 2011. Secondo le rilevazioni di Banca d’Italia, a fine dicembre l’ammontare delle sofferenze lorde dell’intero sistema era di 125 miliardi, in crescita di 3 miliardi solo nell’ultimo mese. Numeri assai preoccupanti, attribuibili solo in parte all’avvitamento del ciclo economico e alle forti difficoltà del sistema economico italiano. È noto infatti che dal 2012 la segnalazione dei crediti scaduti o sconfinati deve scattare solo dopo 90 giorni, anziché dopo 180.
Per fronteggiare questa situazione Bankitalia ha scelto ancora una volta la linea della prudenza, imprimendo un giro di vite sulla politica di contabilizzazione e copertura dei crediti deteriorati.
Da novembre gli ispettori di Via Nazionale stanno setacciando i conti dei primi 25 gruppi bancari italiani per verificare se i crediti dubbi siano iscritti a bilancio al loro giusto valore e se le coperture abbiano raggiunto un livello adeguato. Le ispezioni sarebbero ancora in corso, ma alcuni bilanci pubblicati nei giorni scorsi mostrano le prime tracce di quel lavoro.
Gli interventi più significativi sono avvenuti nelle banche di medie dimensioni, focalizzate sull’attività retail e dunque maggiormente esposte al deterioramento del ciclo economico. A questi istituti la Vigilanza sta chiedendo uno sforzo notevole (per taluni perfino esasperante) per coprire le perdite potenziali sui crediti e allinearsi così alla best practice europea. Per esempio, la Banca Popolare dell’Emilia Romagna ha dovuto alzare la copertura degli impieghi deteriorati (coverage ratio) dal 33,8 al 36,8% e quella delle sofferenze dal 52,8 al 54,9%. Con 958,4 milioni di rettifiche nette, il gruppo modenese guidato da Luigi Odorici ha pertanto cercato di far fronte a un’impennata del costo del credito, passato nel corso del 2012 da 71 a 199 punti base. Scelte prudenziali anche per Banca Etruria, dove il direttore generale Luca Bronchi ha dovuto iscrivere a bilancio rettifiche su crediti per 351,1 milioni, con un grado di copertura delle sofferenze al 54,3%, in crescita dal 51,4% del 2011.
In generale, sotto la lente di Bankitalia sono finiti soprattutto i crediti verso il comparto immobiliare, che negli ultimi anni è stato duramente colpito dalla recessione. «In molti casi abbiamo dovuto svalutare gli immobili concessi in ipoteca, facendoli passare da irrealistici valori di libro a più plausibili prezzi di mercato», spiega un banchiere a MF-Milano Finanza.
Nemmeno i gruppi bancari più grandi sono stati immuni al pressing di Via Nazionale. Per esempio, al Banco Popolare, dove pure negli ultimi anni l’amministratore delegato Pier Francesco Saviotti ha realizzato una profonda opera di pulizia, le rettifiche nette per deterioramento dei crediti si sono attestate a 1,28 miliardi rispetto ai 758,8 milioni del 2011. Nella popolare veronese le copertura dei crediti deteriorati è stata del 36,9% (40,3%, escludendo Italease) in aumento rispetto al 34,1% del settembre 2012. Passando a un’altra grande popolare quotata, per Ubi Banca le rettifiche sono balzate con forza da 607,1 a 847,2 milioni, per una sensibile crescita dei crediti deteriorati netti (sofferenze, incagli, ristrutturati e scaduti-sconfinanti) saliti del 28,5% a 6,3 miliardi. «Fieno in cascina per l’anno c’è, vorrà dire che avremo qualcosina di meno da fare», ha spiegato l’ad Victor Massiah durante la presentazione del bilancio.
Si arriva così alle due principali banche italiane: Intesa Sanpaolo e Unicredit. Per Ca’ de Sass le rettifiche nette su crediti sono salite a 4,71 miliardi rispetto ai 4,24 miliardi del 2011, con un livello di copertura dei crediti deteriorati del 44,9%. Ancora più massicci sono stati gli accantonamenti di Unicredit: 9,6 miliardi, con un balzo del 67,7% anno su anno. L’opera di pulizia insomma è stata incisiva ma, a voler essere prudenti sino infondo, potrebbe proseguire.
Mediobanca Securities ha infatti calcolato che oggi la copertura media dei crediti dubbi delle banche italiane si attesta al 39%, 14 punti sotto la media europea. Per coprire questo gap gli istituti dovrebbero accantonare circa 21 miliardi, ma l’iniziativa non richiederebbe grossi sforzi. Secondo Piazzetta Cuccia, infatti, il 40% di questa cifra potrebbe arrivare disciplina di Basilea 3, secondo cui le perdite attese dai crediti, calcolate secondo i modelli interni, devono essere pienamente coperte con gli accantonamenti. Altri punti percentuali possono arrivare sacrificando gli utili, senza però intaccare la capacità di distribuire dividendi. In quel report peraltro Mediobancarilancia l’idea di una bad bank di sistema, cioè di un fondo in cui apportare gli attivi non performing degli istituti italiani, alleggerendone così lo stato patrimoniale e favorendo una ripresa dell’attività creditizia. Intorno a questa proposta si sta creando un dibattito sempre più ampio con posizioni anche distanti tra loro. «Non parlerei di una bad bank, ma semmai dell’opportunità di dar vita a fondi ai quali più banche potrebbero conferire distressed asset omogenei», spiega un banchiere. Gli fa eco un collega: «L’idea è buona, ma bisogna tener conto delle peculiarità delle singole banche, magari segmentando molto il progetto». (riproduzione riservata)