L’Ente di previdenza di geologi, chimici, agronomi/forestali e attuari (Epap) ha presentato ricorso al Tar del Lazio contro la mancata approvazione, da parte dei ministeri vigilanti, della propria riforma per l’adeguatezza delle pensioni da erogare agli iscritti. Al ricorso hanno aderito, per sostenere le ragioni dell’Epap, anche la Cassa dei ragionieri (che fra l’altro attende da quasi quattro mesi l’approvazione della riforma per la sostenibilità cinquantennale) e l’intera Adepp, ovvero l’associazione degli Enti di previdenza dei liberi professionisti.
La legge Lo Presti nasce per colmare un vuoto normativo e dare alle Casse di previdenza che adottano il sistema contributivo (pensioni calcolate sui soli contributi versati nell’arco della vita) la possibilità di aumentare l’aliquota integrativa fino al 5% e di conseguenza trascinare anche la contribuzione soggettiva portandola a una percentuale più alta rispetto al 10% iniziale. L’effetto combinato delle due misure (un po’ di più paga il cliente la prestazione e un po’ di più versa il professionista di tasca propria) è quello di ottenere, dopo 40 anni di attività, una pensione in percentuale doppia rispetto a quella che si percepirebbe con i requisiti di oggi. Ma l’approvazione (si veda tabella in pagina) delle riforme per l’adeguatezza presentate dagli enti degli infermieri, dei periti industriali e dei biologi, fino a oggi, è stato possibile solo dopo una correzione sostanziale delle delibere che prevede (in tutti e tre i casi citati) l’applicazione dell’aliquota del 4% solo ai committenti privati e non anche a quelli pubblici che continueranno a pagare il 2%. Questo perché, secondo il ministero del lavoro, la legge prevede che non ci siano nuovi oneri per la «finanza pubblica». Senza doppio regime, quindi, niente via libera.
Per l’Epap questa interpretazione «è davvero singolare». «La legge Lo Presti», sottolinea il presidente dell’Ente Arcangelo Pirrello, «è stata la prima (e l’unica) legge a venire incontro alla primaria esigenza di elargire pensioni quantomeno dignitose. Il sistema contributivo puro, infatti, se è in grado di garantire la sostenibilità a lungo termine, produce un inevitabile disagio nell’ammontare delle pensioni che sono attualmente caratterizzate da un tasso di sostituzione del 20%: significa che con 37 anni di contribuzione si percepirà una pensione pari al 20% appena dell’ultimo reddito. Continua Pirrello: «Lo stato, che è chiamato a vigilare sulla adeguatezza (e naturalmente sull’equità) delle pensioni ai sensi dell’articolo 38 della Costituzione, non può permettere una simile, iniqua e ingiusta interpretazione».