Non ci saranno cambiamenti repentini né annunci ufficiali a breve termine, ma la politica cinese del figlio unico è destinata a mutare con gradualità nei prossimi tempi. Gli esperti hanno lanciato l’allarme, anche se per il momento i politici preferiscono fare orecchie da mercante.
L’ultimo avvertimento arriva da Ma Jiantang, responsabile dell’Ufficio nazionale di statistica: l’anno scorso la Cina, che conta circa 1,35 miliardi di abitanti, ha visto diminuire la popolazione attiva, quella di età compresa tra 15 e 59 anni, di 3,45 milioni di unità rispetto al 2011.
Ora essa è pari a 937 milioni di persone. Questa tendenza al ribasso, secondo le previsioni, proseguirà fino al 2030.
Jiantang ha quindi esposto le proprie idee sull’argomento, presentandole a titolo puramente personale: la politica del figlio unico, introdotta nel 1979 per evitare il boom demografico, ha avuto grande successo, permettendo alla nazione di sostenere la crescita economica per un trentennio. Adesso, però, cominciano ad affiorare gli effetti collaterali: la popolazione invecchia e la strategia demografica dovrà essere rivista in maniera appropriata e scientifica.
La reazione delle autorità di governo, tuttavia, è stata fredda. Il ministro Wang Xia, a capo della commissione per la pianificazione familiare, ha ribadito la posizione ufficiale di Pechino: la politica ha una visione di lungo termine e il suo scopo primario è mantenere un tasso di natalità basso. Il ministro non ha comunque escluso un ammorbidimento nei confronti di alcune categorie di cittadini. Già da tempo, in campagna, le coppie possono avere il secondo figlio se il primo è di sesso femminile. Inoltre nessuna restrizione viene applicata alle minoranze etniche.
L’obbligo del figlio unico ha portato a molti abusi, dagli aborti forzati alle sterilizzazioni. Poche settimane fa uno studio pubblicato sulla rivista americana Science ha evidenziato l’influenza negativa di questa strategia sulla personalità degli abitanti delle città: essi risultano più pessimisti, meno competitivi e scrupolosi. Ma la questione è anche di ordine socio-economico, perché le autorità vogliono incrementare i consumi interni, mentre i figli unici tendono soprattutto a risparmiare per aiutare i loro genitori, penalizzati da un sistema pensionistico inadeguato.
Secondo Isabelle Attané, esperta di vicende cinesi all’Istituto francese di studi demografici, mutamenti saranno possibili soltanto in maniera progressiva. C’è una divaricazione tra l’atteggiamento dei demografi, che sono favorevoli ad attenuare o addirittura a cancellare il controllo delle nascite, e quello della classe politica, che non sembra pronta alla svolta. In ogni caso, anche se il governo eliminasse l’obbligo del figlio unico, la fecondità non subirebbe un’accelerazione nelle città: colpa del forte aumento del costo della vita. In Cina le spese per il mantenimento di un figlio sono molto alte e, nelle metropoli, quelle legate alla scuola possono arrivare a un terzo delle entrate familiari.
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