La vicenda Mps ha riaperto il dibattito sul ruolo delle Fondazioni di origine bancaria nel sistema creditizio italiano. A inizio febbraio il consiglio dell’Acri ha chiesto ai propri associati di adeguare gli statuti alla carta dell’associazione e quindi alla legge Ciampi, che impone la riduzione sotto il 30% delle partecipazioni bancarie. È difficile prevedere l’esito della partita, ma in questo nuovo contesto sarà interessante seguire le mosse dei principali enti italiani, a partire dalla Fondazione Carige, azionista di maggioranza dell’omonima banca.
Il parallelismo tra Genova e Siena è sbagliato, visto che l’ente presieduto da Flavio Repetto gode per il momento di buona salute. Il bilancio 2011 si è chiuso con un avanzo d’esercizio di 66,6 milioni, dopo l’incasso di dividendi per 64,9 milioni dalla conferitaria, in cui oggi la Fondazione impegna l’87% del proprio attivo. Il 49,4% di Carige è infatti iscritto a bilancio per 1,23 miliardi (1,4 euro per azione contro un valore di mercato attuale di 0,6 euro) su un totale attivo di 1,44 miliardi.
Il flusso cedolare dalla partecipata (che rappresenta in media il 90% dei proventi complessivi) non ha mai subito significative contrazioni neppure negli anni di crisi e anche nel 2011 questo trend ha permesso alla Fondazione di erogare sul territorio 19,8 milioni.
In passato questo buone condizioni di salute hanno permesso all’ente genovese di investire con forza nella banca. Per esempio, nel 2008 la Fondazione aderì all’aumento di capitale da 1 miliardo mettendo sul piatto 422,3 milioni. Già nel 2010 però il bond convertibile da 391 milioni si rivelò un boccone troppo grosso e l’ente ne sottoscrisse soltanto una parte, cedendo diritti a favore di Ior e Crt. Entrambe le operazioni furono parzialmente finanziate attraverso due securities lending stipulati con Mediobanca. In sostanza, a fronte del prestito di azioni risparmio Carige la Fondazione ottenne prestiti da investire nella banca. Un’operazione che nel 2011, al momento della conversione delle risparmio in azioni ordinarie, portò Piazzetta Cuccia all’8,48% di Carige in modalità prestito titoli. Secondo il bilancio 2011, la parte residuale delle somme ricevute da Mediobanca ammonta a 190 milioni: 140 milioni per l’operazione del 2008 e 50 milioni per quella del 2011.
Questi precedenti dimostrano che l’ente genovese ha sempre dato prova di notevole elasticità nelle politiche finanziarie e non ha mai fatto un dogma del controllo sulla banca. Per queste ragioni sarà interessante seguire lo svolgimento dell’imminente piano di adeguamento patrimoniale da 800 milioni. Il 19 marzo il cda di Carige definirà infatti i dettagli del progetto, che potrebbe comprendere anche un aumento di capitale. Il quantum non è ancora noto, ma rappresenterà senza dubbio una discriminante decisiva per l’azionista di maggioranza. In caso di un importo superiore ai 200-300 milioni, la Fondazione potrebbe vendere una parte dei diritti sul mercato e diluirsi nella banca. Del resto, in una fase di mercato dominata ancora dall’incertezza una maggiore diversificazione del portafoglio investimenti andrebbe certamente a vantaggio dell’ente. Molto poi dipenderà dalle direttive che arriveranno da Acri e Tesoro. Se davvero verrà imposta la rigida applicazione della legge Ciampi, l’azionariato di Carigepotrebbe subire drastici cambiamenti che aprirebbero le porte dell’istituto a nuovi azionisti. Insomma, gli scenari possibili sono molti, ma Genova sembra pronta alla sfida del cambiamento. (riproduzione riservata)