Sono 245.462 gli infortuni sul lavoro che nel 2010 in Italia hanno coinvolto le donne, pari a poco meno di un terzo del totale (31,6%), il 29,2% di tutti quelli avvenuti in occasione di lavoro e poco più della metà (50,7%) di quelli in itinere. Nell’ultimo quinquennio il loro numero ha fatto registrare una flessione dell’1,6% – nel 2006, infatti, erano stati 249.493 – ma il calo è stato decisamente più contenuto rispetto a quello rilevato per gli infortuni sul totale dei lavoratori, che nello stesso periodo sono diminuti del 16,4%. Rispetto a cinque anni fa la quota delle infortunate è aumentata di quasi cinque punti percentuali (dal 26,9% al 31,6%), in presenza di un aumento dell’occupazione femminile che invece si è fermato all’1%. La riduzione degli infortuni delle lavoratrici non è stata omogenea per tutti i settori di attività. In agricoltura, infatti, il calo è stato del 28%, molto più contenuto quello nell’industria e servizi (-1,3%), mentre tra le dipendenti in conto Stato si è registrato un aumento del 13,9%.
Più della metà dei casi mortali nel tragitto casa-lavoro-casa. Anche i casi mortali nel quinquennio 2006-2010 sono diminuiti meno per le donne rispetto al totale dei lavoratori, ma in termini percentuali si è trattato comunque di una flessione consistente (-21,2%). A spiccare è il dato da cui emerge che le morti delle donne sono avvenute prevalentemente in itinere, nel tragitto casa-lavoro-casa: ben 40 su 78 nel 2010 (51,3%) rispetto al 20,8% registrato tra gli uomini. La differenza può essere spiegata con il fatto che la presenza femminile è concentrata prevalentemente in settori di attività meno rischiosi. L’elenco dei settori di attività economica con maggiore incidenza infortunistica femminile, infatti, vede al primo posto il personale domestico (87,6%), a seguire la sanità e i servizi sociali (76,9%) e gli enti pubblici e locali (58,2%). Per arrivare ai settori più rischiosi dell’industria manifatturiera bisogna scendere al 9% di incidenza infortunistica femminile dell’industria meccanica e della lavorazione dei minerali non metalliferi. Gli infortuni che nel 2010 hanno colpito le lavoratrici straniere sono state poco più di 31mila (pari al 12,7 % del totale delle donne infortunate) e 17 dei 78 casi mortali. Le donne straniere che hanno denunciato il maggior numero di infortuni provengono da Romania, Marocco, Albania e Perù.
L’occupazione femminile 11 punti sotto la media Ocse. Le donne rappresentano il 51,5% della popolazione residente in Italia, ma solo il 40,4% del totale dei lavoratori. Secondo i dati di Unioncamere, quasi il 24% delle aziende sono gestite o sono di proprietà di una donna e nel 2011 si è registrato un incremento di circa 10mila nuove imprese a guida femminile, localizzate soprattutto nel centro Italia, con un tasso di crescita rispetto al 2010 dello 0,7% (contro lo 0,2% di aumento di quelle a guida maschile). I settori che attraggono di più le imprenditrici sono sia quelli tradizionali, come alloggio e ristorazione (+3.086 imprese) e attività immobiliari (+1.493), sia quelli più legati all’innovazione, come le attività professionali, scientifiche e tecniche (+1.299). L’Italia, però, si distingue per un tasso di occupazione femminile tra i più bassi d’Europa, inferiore di 11 punti rispetto a quello della media Ocse (48% contro 59%). Il Consiglio europeo nel 2006 ha approvato il “Patto per la parità di genere” con l’obiettivo di attuare politiche finalizzate allo sviluppo dell’occupazione femminile, manifestando la volontà di garantire l’equilibrio tra la vita professionale e quella privata. Nel 2010, però, l’Istat ha rilevato che nel nostro Paese sono ancora quasi il 40% le donne inattive con figli di età inferiore ai 15 anni. Dallo stesso studio emerge che tra le madri di età compresa tra i 25 e i 34 anni il tasso di occupazione è del 45%, mentre tra i padri raggiunge l’87%.
Conciliazione lavoro-famiglia: un problema a senso unico. L’Istat sottolinea anche che il 30% delle madri ha interrotto il lavoro per motivi familiari (contro il 3% soltanto dei padri) e solo quattro su dieci hanno poi ripreso l’attività, con una differenziazione che va da una madre su due nel Nord per arrivare a una su cinque nel Sud Italia, a conferma del divario che continua a dividere il Paese. Le differenze tra i livelli di partecipazione al mercato del lavoro, inoltre, si accentuano ancora di più in presenza di bassi titoli di studio. Analizzando il tasso di occupazione per il ruolo ricoperto in famiglia, si scopre che quello femminile diminuisce all’aumentare del numero dei figli e la diminuzione si accentua in modo particolare tra il primo e il terzo figlio. Questo dato rappresenta una conferma indiretta dell’inadeguatezza dei servizi: nel 2010 solo il 18% dei bambini sotto i due anni si sono avvalsi di almeno uno dei servizi integrativi per la prima infanzia, come gli asili nido
Fonte: INAIL
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