GIURISPRUDENZA
Autori: Laura Opilio e Gerardo Granato
ASSINEWS 372 – Marzo 2025
Un recente arresto giurisprudenziale sul punto
La Corte di cassazione, con la recente sentenza n. 29483/2024, chiarisce che, in tema di assicurazione della responsabilità medica, “non può essere affetta da nullità, ex art. 2965 c.c., la clausola claims made perché fa dipendere la decadenza dalla scelta di un terzo, giacché l’atteggiarsi della richiesta del terzo, quale evento futuro, imprevisto ed imprevedibile, è del tutto coerente con la struttura propria del contratto di assicurazione contro i danni (nel cui ambito è da ricondursi la polizza con clausola claims made) in cui l’operatività della copertura deve dipendere da fatto non dell’assicurato”.
In altre parole, con la sentenza in commento, gli Ermellini, nel solco di precedenti pronunce giurisprudenziali, ribadiscono la legittimità della clausola claims made in un contratto assicurativo.
Storia della clausola claims made ed i vari arresti giurisprudenziali circa la sua validità
Come noto, la polizza di responsabilità civile strutturata secondo il modello claims made si distingue per il fatto che la copertura assicurativa si attiva in relazione alle richieste di risarcimento presentate all’assicurato durante il periodo di validità della polizza.
Questo sistema si contrappone al modello loss occurrence, in cui la copertura si applica agli eventi che danno origine a richieste risarcitorie verificatisi durante la durata del contratto. Tale modello è quello previsto dal codice civile italiano, il cui articolo 1917 fa riferimento al “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione”.
Il modello claims made ha avuto origine negli anni ’80 nell’ambito anglosassone, come risposta alla cosiddetta crisi della liability insurance. Le compagnie assicurative si erano trovate in difficoltà a causa dell’insorgenza dei danni cosiddetti “lungolatenti”, ossia danni che si manifestano molto tempo dopo l’evento che li ha causati. Questo fenomeno aveva portato a un aumento imprevisto del numero di sinistri e dei costi delle liquidazioni, influenzati anche dall’adozione di nuovi criteri di quantificazione del danno. Di conseguenza, molte riserve tecniche delle compagnie risultarono insufficienti, causando una grave crisi del settore.
Per affrontare queste problematiche, si passò dal modello basato sull’evento generatore del danno (loss occurrence) a quello basato sulla richiesta di risarcimento (claims made). Il sistema claims made permette di delimitare con maggiore precisione il periodo di operatività della copertura: il sinistro, inteso come richiesta di risarcimento, deve essere avanzato durante la vigenza della polizza.
Questo meccanismo, inoltre, offre vantaggi sia alle compagnie assicurative, che possono calcolare con maggiore accuratezza le riserve tecniche e i premi, sia agli assicurati, che beneficiano di premi più contenuti e di una più chiara identificazione della polizza applicabile a ciascun sinistro. Inoltre, il rischio che il massimale di polizza risulti inadeguato a causa dell’inflazione viene ridotto. Nel corso del tempo, le polizze claims made si sono progressivamente diffuse, sostituendo in gran parte i contratti tradizionali basati sul modello loss occurrence. Tuttavia, l’introduzione di queste polizze nell’ordinamento italiano è stata accolta con cautela, generando un dibattito giuridico e una varietà di interpretazioni giurisprudenziali spesso contrastanti.
Nel corso di pochi anni, infatti, si sono susseguite una serie di pronunce, sia di merito che di legittimità, delle quali si ritiene utile fornire una rapida rassegna.
In una prima fase, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 5624 del 15 marzo 2005, ha considerato la clausola claims made come vessatoria. Tale giudizio si fondava sull’idea che il contratto di assicurazione della responsabilità civile contenente questa clausola non si configurasse come conforme al modello tipico previsto dall’art. 1917 c.c., ma piuttosto come un contratto atipico. Quest’ultimo è generalmente ritenuto lecito in base all’art. 1322 c.c., poiché l’art. 1917 c.c. non prevede l’inderogabilità del primo comma, ma solo del terzo e del quarto, come indicato dall’art. 1932 c.c.
Successivamente, le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016, hanno escluso che la clausola claims made potesse essere considerata vessatoria ed hanno inoltre qualificato il contratto assicurativo contenente tali clausole come un contratto atipico, differente dal modello previsto dall’art. 1917 del codice civile. In questa prospettiva, è stato richiesto al giudice di merito di valutare la meritevolezza del contratto, in conformità con quanto previsto per i contratti atipici, che devono perseguire interessi considerati meritevoli di tutela nell’ambito dell’ordinamento giuridico.
A meno di un anno di distanza, i giudici della Cassazione, in particolare della terza sezione civile, con due sentenze gemelle del 2017 (Cass. 28 aprile 2017, n. 10509 e n. 10506), hanno adottato un approccio particolarmente restrittivo, dichiarando non meritevoli di tutela tutte le clausole claims made che escludono le richieste risarcitorie postume. In dettaglio, tali clausole sono state giudicate immeritevoli di tutela per i seguenti motivi: (i) garantirebbero alle compagnie assicurative un vantaggio sproporzionato e ingiusto, senza un’adeguata contropartita, poiché ridurrebbero il periodo effettivo di copertura, escludendo verosimilmente i danni causati dall’assicurato in prossimità della scadenza del contratto; (ii) porrebbero l’assicurato in una posizione di svantaggio rispetto alla controparte, subordinando l’obbligo di indennizzo non solo a un evento futuro e incerto legato alla responsabilità dell’assicurato, ma anche a un ulteriore evento altrettanto incerto, ossia la volontà del terzo danneggiato di presentare una richiesta di risarcimento; (iii) potrebbero indurre l’assicurato a comportamenti in contrasto con i principi di solidarietà sanciti dalla Costituzione, poiché, qualora l’assicurato decidesse di adempiere spontaneamente all’obbligazione risarcitoria prima della richiesta del danneggiato, l’assicuratore potrebbe rifiutare l’indennizzo sostenendo che nessuna richiesta formale è stata avanzata dal terzo. In seguito, sempre la terza sezione della Corte di cassazione (Cass. 19 gennaio 2018, n. 1465) ha nuovamente sollevato la questione alle Sezioni Unite, adottando una posizione netta contro la validità della clausola claims made. L’ordinanza di rimessione ha infatti ripreso gli argomenti delle sentenze del 2017 sull’immeritevolezza della clausola e ha aggiunto un’ulteriore considerazione, sostenendo che non è consentito derogare all’art. 1917 c.c., definendo come “sinistro” eventi diversi dal danno causato.
Le sezioni unite hanno trattato la questione con la sentenza n. 22437 del 24 settembre 2018, respingendo gli argomenti presentati nell’ordinanza di rimessione e confermando la validità delle clausole claims made, sulla base di nuove motivazioni. In particolare, la Corte ha sottolineato che, negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto, in vari settori dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile professionale, modelli assicurativi basati sul sistema claims made. Pertanto, la clausola non può più essere considerata atipica, e ciò implica il superamento della valutazione di meritevolezza secondo l’art. 1322, comma 2, c.c. Inoltre, le sezioni unite hanno ribadito che le clausole claims made delimitano l’ambito del contratto senza limitare la responsabilità, escludendo così la loro natura vessatoria. Ne deriva che il modello contrattuale che le include è compatibile con l’assicurazione per la responsabilità civile e costituisce una deroga all’art. 1917, comma 1, c.c., validata dalle scelte legislative menzionate. Nello stesso senso anche le sentenze della Corte di cassazione nn. 10447 del 15 aprile 2019 e 12908 del 22 aprile 2022, che hanno avuto il pregio di confermare la circoscrizione del perimetro interpretativo della clausola, escludendovi opzioni ermeneutiche non più attuali.
La sentenza Cassazione Civile n. 29483/2024
Sulla questione della validità/legittimità della clausola claims made in un contratto assicurativo si è da ultimo pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 29483 del 15 novembre 2024.
Il caso esaminato nella sentenza in questione riguarda una controversia legata a un episodio di malasanità, in cui l’azienda sanitaria aveva richiesto una manleva alla compagnia assicurativa. Tale richiesta veniva rigettata, avendo il giudice di prime cure ritenuto valida la clausola “claims made” che subordinava, in ciascun contratto, la copertura assicurativa alla proposizione della prima richiesta di risarcimento del danno, da parte del terzo, nel periodo di validità del contratto, evenienza, nella specie, non verificatasi.
In sede di appello, in merito alle domande di manleva, i giudici ribaltavano la decisione di primo grado, condannando soltanto due specifiche compagnie assicurative al pagamento dell’indennizzo, sul presupposto della nullità della clausola, presente nei contratti conclusi con le stesse, che subordinava l’operatività della polizza all’avvenuta denuncia della richiesta del risarcimento del danno, da parte del terzo, in costanza di rapporto, trattandosi di clausola vessatoria (che avrebbe, come tale, richiesto la specifica approvazione per iscritto) ed essendo stata, comunque, apposta in violazione dell’art. 2965 c.c., stabilendo una decadenza tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto all’indennizzo.
Più dettagliatamente, rispetto al contratto concluso con una terza compagnia assicurativa, i giudici del secondo grado evidenziavano come esso non lasciasse l’operatività della garanzia (qualificata “a secondo rischio”) all’arbitrio di terzi, consentendo all’assicurato – che fosse venuto a conoscenza di un sinistro, mediante regolare registrazione dello stesso – di fruirne, indipendentemente dal momento di verificazione del sinistro stesso.
Ebbene, con la sentenza in commento, la Cassazione ha inteso confermare la piena legittimità e compatibilità della clausola claims made con l’art. 2965 c.c., risolvendone le incertezze sollevate da orientamenti isolati e oramai datati (in adesione ai principi stabiliti dalle sezioni unite con le sentenze nn 9140/2016 e 22437/2018).
La Suprema Corte, in particolare, ha chiarito che la clausola “claims made” non comporta una decadenza convenzionale. Essa, infatti, non rappresenta una limitazione di un diritto già sorto, ma una condizione che ne regola l’insorgenza, legandola a un evento futuro e incerto: la richiesta di risarcimento da parte del danneggiato. Tale visione si allinea perfettamente con il modello assicurativo contro i danni, nel quale l’operatività della copertura dipende da fattori esterni e imprevedibili, indipendenti dalla volontà dell’assicurato. La portata di questa decisione è chiara: da un lato, risolve un dibattito che aveva generato incertezze (v. Cass. 8894/2020), rafforzando la legittimità di uno strumento contrattuale largamente utilizzato dagli assicuratori per una gestione più prevedibile del rischio; dall’altro, conferma la coerenza della clausola claims made con l’ordinamento normativo e giurisprudenziale.
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