Kyu Associés ha pubblicato il barometro dei rischi sostenuti dalle supply chain, in collaborazione con France Supply Chain, Arts et Métiers e AMRAE

Per  misurare l’evoluzione dei rischi che le aziende devono affrontare, il team di Kyu ha interpellato quasi un centinaio di operatori economici del settore industriale e della distribuzione. Sono stati soprattutto i risk manager di queste organizzazioni (40% degli intervistati) a parlare delle minacce che incombono nel 2025.

Nella “matrice dei rischi” di quest’anno, gli autori dello studio, hanno identificato il rischio geopolitico come il più significativo per la supply chain. La tendenza è confermata e corrisponde alla fine del ciclo di globalizzazione caratterizzato da trent’anni di internazionalizzazione del commercio.

Stiamo passando da un mondo bipolare a uno sempre più multipolare e conflittuale, in cui la leva economica è tornata a essere una leva strategica per i governi e questo avrà conseguenze sulle certezze che le aziende possono avere lungo le loro catene del valore.

In questo contesto, è improbabile che il ritorno al potere di Donald Trump allenti queste tensioni. Il secondo rischio più grande per le organizzazioni è l’aumento dei costi. È probabile che questo peggiori nel prossimo futuro, con un aumento delle misure protezionistiche che avranno l’effetto di far lievitare il costo dei materiali importati.

Il terzo rischio individuato dagli intervistati, in calo rispetto all’anno precedente, è la volatilità della domanda.

Gli attacchi informatici sono in aumento e sono al quarto posto tra i rischi, seguiti dai fallimenti dei fornitori, che sono allo stesso livello del periodo pre-covid. Anche i rischi legati alla non conformità ESG (ambientale, sociale e di governance) sono in aumento, a causa dell’inasprimento delle normative sulla catena di approvvigionamento.

Sebbene il rischio di carenza di prodotti stia diminuendo, la fragilità della situazione rimane. Lo studio cita le tensioni sulla fornitura di materie prime come “il litio e altri materiali utilizzati per la produzione di batterie e l’elettrificazione del parco auto”.

Il rischio climatico rimane stabile. Le aziende sono ancora esposte a questo fattore, ma ci sono abituate e lo stanno incorporando nelle loro strategie per ridurne l’impatto, spiega lo studio.

Gli ultimi rischi nella “top ten” sono la carenza di manodopera, il cui impatto è in diminuzione e il rischio legato al traffico marittimo mondiale, che secondo lo studio “sta subendo gli effetti di crisi geopolitiche come la situazione nel Mar Rosso e nel Canale di Suez, di disordini sociali nei porti che hanno contribuito all’interruzione del traffico internazionale e di eventi climatici come la siccità nel Canale di Panama”.