In un contesto di crescenti difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), la spesa sanitaria delle famiglie – cd. out-op-pocket – ha superato i 40 miliardi di euro nel 2023, registrando un incremento del 26,8% tra il 2012 e il 2022. Tuttavia, la spesa out-of-pocket non rappresenta un indicatore affidabile per valutare le mancate tutele pubbliche, sia perché circa il 40% riguarda prestazioni a basso valore, sia perché è frenata dall’incapacità di spesa delle famiglie e dalla rinuncia a prestazioni per reali bisogni di salute. È quanto emerge dal report dell’Osservatorio GIMBE sulla spesa sanitaria privata in Italia nel 2023, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato ieri al CNEL.

La spesa out of pocket è così ripartita:

• € 18.106 milioni per l’assistenza sanitaria per cura (HC.1) e riabilitazione (HC.2)
• € 4.423 milioni per l’assistenza sanitaria a lungo termine (HC.3)
• € 3.062 milioni per servizi ausiliari (HC.4)
• € 14.983 milioni per prodotti farmaceutici e altri apparecchi terapeutici (HC.5)
• € 67 milioni per i servizi di prevenzione delle malattie (HC.6)

La spesa pro-capite in Lombardia è la più alta, superando i 1.000 euro, mentre in Sardegna circa il 13,7% della popolazione rinuncia alle cure, il dato peggiore a livello nazionale. In generale, la spesa out-of-pocket in Italia è superiore alla media UE, ma la spesa intermediata da fondi sanitari è inferiore alla media europea. Circa il 40% della spesa sanitaria delle famiglie è per servizi che non apportano benefici reali alla salute. Inoltre, il 15,7% delle famiglie ha dovuto limitare la spesa sanitaria, con circa 4,5 milioni di persone che hanno rinunciato a cure, di cui 2,5 milioni per motivi economici. Le disparità regionali sono evidenti, con il Sud Italia che presenta tassi di rinuncia alle cure più elevati.

Lo studio ha analizzato il peso economico crescente sostenuto dalle famiglie e le criticità del sistema della sanità integrativa. “L’aumento della spesa out-of-pocket non è solo il sintomo di un sottofinanziamento della sanità pubblica”, – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ma anche un indicatore delle crescenti difficoltà di accesso al SSN. L’impossibilità di accedere a cure necessarie a causa delle interminabili liste di attesa determina un impatto economico sempre maggiore, specie per le fasce socio-economiche più fragili che spesso non riescono a sostenerlo, limitando le spese o rinunciando alle prestazioni”.

La spesa intermediata attraverso fondi sanitari, polizze individuali e altre forme di finanziamento collettivo rimane limitata: nel 2023 ammonta a 5,2 miliardi di euro, ovvero il 3% della spesa sanitaria totale e l’11,4% di quella privata.

Secondo le stime dei conti ISTAT-SHA la spesa intermediata per l’anno 2023 è così suddivisa:

• € 1.868 milioni per l’assistenza sanitaria per cura (HC.1) e riabilitazione (HC.2)
• € 114 milioni per l’assistenza sanitaria a lungo termine (HC.3)
• € 416 milioni per servizi ausiliari (HC.4)
• € 371 milioni per prodotti farmaceutici e altri apparecchi terapeutici (HC.5)
• € 817 milioni per i servizi di prevenzione delle malattie (HC.6)
• € 1.435 milioni per governance e amministrazione del sistema sanitario e del finanziamento (HC.7)

Il ruolo integrativo dei fondi sanitari rispetto alle prestazioni incluse nei LEA – commenta Cartabellotta – è limitato da una normativa frammentata e incompleta e la spesa intermediata compensa solo in parte il carico economico sulle famiglie”.

Dal report emergono due dati di particolare rilevanza. Il primo è che il 31,6% della spesa intermediata viene assorbito dai costi di gestione, mentre poco meno del 70% è destinato a servizi e prestazioni per gli iscritti.

Il secondo evidenzia che tra il 2020 e il 2023 i fondi sanitari integrativi hanno progressivamente aumentato le risorse destinate all’erogazione di prestazioni, riducendo il margine rispetto alle quote incassate. “In altri termini la crisi della sanità pubblica e, soprattutto, la sua incapacità di garantire prestazioni tempestive stanno spostando sempre più bisogni di salute sui fondi sanitari, mettendo a rischio la loro stessa sostenibilità”.