di Andrea SettefontiAndrea Settefonti
«All’agricoltore non bastano più le conoscenze agronomiche. Come accade negli Usa dal 2008 con l’onboarding digitale, oggi bisogna essere risk manager, essere capaci di individuare i rischi della coltura e trovare gli strumenti per trasferire il rischio su altri livelli. L’assicurazione ha il compito di trasferire i rischi dal piano reale a quello finanziario». In pratica, l’assicurazione ormai è uno strumento di lavoro agricolo. A raccontare a ItaliaOggi questa trasformazione è Gerardo Di Francesco, vicepresidente e co-founder dell’Italian Insurtech Association (IIA), associazione che mette insieme la catena del valore assicurativo e la riunisce al tema della digitalizzazione. E che trova tra i settori più interessati a questo rapporto il comparto agricolo, tra i più colpiti dal cambiamento climatico. Secondo lo studio «Next level for Insurance SME segment: climate change & physical risks», realizzato da Crif, Red Risk e Qbe Italia col patrocinio di IIA, nel 2022 i danni causati da eventi naturali, come la siccità, sono arrivati a sei mld di euro. Aumentano i danni dunque, ma non di pari passo le coperture assicurative. «A oggi solo il 10% degli agricoltori ha una polizza assicurativa per un valore complessivo dei beni di 7 mld di euro. Quasi equivalente al totale delle perdite dello scorso anno», spiega Di Francesco. «A questo si aggiunge il fatto che nel 2022 l’associazione ha registrato un raddoppio dei tassi assicurativi rispetto al 2019, con un incremento che potrebbe arrivare al +25% entro il 2025. Se non si interviene a livello istituzionale con la defiscalizzazione e l’incentivazione, lo strumento assicurativo potrebbe non essere appetibile né per l’agricoltore, che lo vede come una tassa e basta, né per la compagnia assicurativa». Questo perché «i danni non sono un evento aleatorio ma certo. L’industria delle assicurazioni ci dice che quanto viene pagato per gli indennizzi è maggiore di quanto incassato dalle polizze. E questo è un indice malsano», chiosa il vicepresidente dell’IIA. In più, rischio e impatto economico dei fenomeni naturali sono aggravati dal fatto che «l’Italia rispetto alla media dei principali paesi Ue, è fortemente sotto assicurata».
Nei prossimi anni gli effetti del climate change avranno un impatto sempre maggiore sulle filiere agricole. A rischio frane sono le zone montuose, in particolare nelle Alpi. Aosta, Sondrio, Trento e Belluno presentano più del 40% delle loro aziende esposte a rischio elevato. Il rischio inondazione è alto nella bassa valle del Po (Rovigo e Ferrara), in zone costiere a scarsa elevazione (Gorizia) o caratterizzate da piogge torrenziali e inondazioni improvvise (Genova e Catania). In termini di forti precipitazioni la provincia più esposta è il Verbano-Cusio-Ossola, seguita da Lecce e Siracusa. «Grazie all’innovazione possiamo realizzare prodotti assicurativi parametrici basati su dati meteorologici provenienti da satelliti, che consentono una gestione del rischio più mirata. Strumenti questi che possono aumentare la penetrazione delle polizze assicurative, che dovranno essere uno strumento di integrazione insieme a impianti di irrigazione o reti antigrandine».
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