Marco Capponi
Perso il treno delle prime grandi rivoluzioni tecnologiche, quella dei social network prima e quella dello streaming poi, l’Italia si affaccia all’avvento dell’intelligenza artificiale con qualche arma in più rispetto al passato. Sicuramente la paura di restare indietro un’altra volta, quella che gli americani chiamano fomo (fear-of-missing-out) è alta. Basta scorrere i comunicati stampa degli ultimi giorni di aziende piccole o grandi, quotate e non, per accorgersi del boom delle varie stringhe «AI-Intelligenza Artificiale-Ia-Artificial Intelligence» nei titoli. Tutti ne parlano e tutti vogliono farne parte, ma la verità è che il modello italiano di intelligenza artificiale sembrerebbe ricalcare quello che si è configurato finora per il più vasto settore della tecnologia: piccole e medie imprese (anche quotate) che utilizzano l’intelligenza artificiale per le applicazioni industriali e i singoli casi d’uso di pmi clienti. Un micro universo in cui alcuni nomi si stanno già affermando come leader del settore.
Verso i 700 milioni. Punto primo, i numeri. Il mercato italiano dell’intelligenza artificiale vale, secondo le stime di Anitec-Assinform (la sezione di imprese tecnologiche di Confindustria) 422 milioni di euro, con il potenziale di arrivare a 700 milioni nel 2025. Cifre neanche lontanamente confrontabili con quelle che circolano tra i grandi nomi dell’industria informatica americana e cinese, ma nemmeno da sottovalutare, se si considera che il tasso di crescita previsto per il settore è del 22% annuo. A fronte di ciò la penetrazione nel tessuto industriale italiano è bassissima: appena il 6,2% delle aziende ha integrato sistemi di AI nei propri processi industriali, quasi due punti in meno dell’8% europeo (dati Istat). Scorporando il dato si nota poi come nelle realtà piccole la penetrazione sia ancora più bassa, il 5,3%, per salire al 24,3% registrato nelle grandi imprese. Dietro questa discrepanza c’è una ragione precisa che, numeri alla mano, può supportare la crescita delle mini-Ai all’italiana.
Non sarà una ChatGpt. Forse gli entusiasti rimarranno delusi, ma è difficile, salvo colpi di fortuna o di genio, che in Italia nasca una nuova ChatGpt. «Il software di Open Ai è un’applicazione generalista, orizzontale e semplice da usare: per competere con lui sarebbero necessari investimenti miliardari, possibili solo per certi operatori», evidenzia Giuseppe Marsella, head of Italian equity research di Alantra, società di investimento focalizzata sul segmento mid-market. Quello che si sta facendo in Italia è piuttosto «partire da tecnologie orizzontali come quelle di ChatGpt e costruire prodotti verticali che possano essere usati immediatamente dalle aziende per risolvere casi d’uso». Ultimo esempio in ordine di tempo è quello di Almawave, una delle due aziende quotate a Piazza Affari -l’altra è Expert.Ai- che lavorano nello stesso ambito di ChatGpt, cioè il natural language processing. Traduzione (fornita da ChatGpt stessa): «Come i computer possono comprendere, interpretare e generare il linguaggio umano». Lo scorso 9 febbraio Almawave ha annunciato di aver vinto il bando del ministero del Turismo per la traduzione multilingua automatizzata del sito ufficiale del turismo italiano tramite gli strumenti AI del gruppo. La domanda a questo punto è: il ministero o l’azienda di turno non potrebbero ottenere gli stessi risultati con ChatGpt? «È probabile», prosegue Marsella, «che l’impresa non saprebbe cosa fare, e dovrebbe farsi costruire prodotti ad hoc da società di consulenza: la tecnologia di ChatGpt è attualmente appannaggio solo di grandi aziende. Per le piccole invece ci sono i prodotti verticali fatti dalle piccole società di AI, che sono utilizzabili fin da subito, chiavi in mano».
Affari da mini Ai. Tra le società tecnologiche quotate su Egm, il segmento di borsa delle pmi, coperte dagli analisti di Alantra una (Almawave) è un player puro dell’intelligenza artificiale e altre tre la integrano nei loro modelli di business. «eViso», elenca Marsella, «utilizza l’AI per fare prodotti specifici per l’analisi dati; stessa cosa per Datrix, mentre Allcore usa l’intelligenza artificiale per la contabilità semplificata». Usando un modello valutativo basato su quattro parametri – modello di business consolidato, profilo finanziario solido, regola del 40 (tasso di crescita del fatturato e margine di profitto pari o superiori al 40%) e crescita organica delle vendite nel 2022 – Alantra sceglie come top picks Almawave e eViso, entrambe con 18 punti su 20. «Sono società che hanno già mostrato un modello di business che funziona», argomenta Marsella, precisando che non vede possibilità di scontro (che finirebbe verosimilmente in rovinosa sconfitta) con i colossi del calibro di ChatGpt. «Anzi», conclude l’esperto, «ritengo che queste società italiane possano usare il software di OpenAi per sviluppare nuove soluzioni». C’è chi lo ha già fatto: «eViso lavora nell’ambito delle commodity, legando e ottimizzando domanda e offerta tramite l’intelligenza artificiale. Il sistema dell’azienda è già integrato negli algoritmi di ChatGpt, ma con un obiettivo specifico: l’intermediazione di materie prime». (riproduzione riservata)
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