IL FONDO GUIDATO DA TAMAGNINI HA COMPRATO IL 7,2% DELLA SOCIETÀ DI RISPARMIO GESTITO
di Luca Gualtieri
Il blitz anticipato da Milanofinanza.it che martedì 14 ha portato Fsi al 7,2% di Anima per 108,7 milioni si è prestato ieri ad almeno un paio di interpretazioni nella comunità finanziaria. Da un lato c’è la lettura industriale: dopo gli investimenti in Cedacri, Lynx e Cerved, con l’ingresso in Anima la sgr di Maurizio Tamagnini ha confermato l’interesse per quelle nicchie dei servizi finanziari dove l’utilizzo delle nuove tecnologie è oggi sempre più intenso. Tra questi c’è senza dubbio il risparmio gestito dove in questi anni il digitale sta cambiando radicalmente le strategie e dove la fame di nuove risorse per finanziare la crescita è più intensa.
Se insomma l’asset ha le carte in regola per essere un buon investimento e si può facilmente riscontrare una continuità tra le operazioni che Fis ha fatto finora e quella di oggi con Anima, gli elementi di novità non mancano. A partire dall’entità della partecipazione acquisita. Il 7,2% acquisito in reverse accelerated bookbuilding attraverso Mediobanca è una quota molto sottile per un private equity (specie se raffrontata con il 20,6% in mano a Banco Bpm e con l’11% detenuto da Poste) e dà diritto ad appena un posto in consiglio di amministrazione. Troppo poco, ritiene qualcuno, per incidere attivamente sulla strategia del gruppo. Vero è che tra un anno Tamagnini potrà giocare la carta dell’opa ma questa, al momento, è solo un’ipotesi.
Circola anche una seconda lettura del blitz di Fsi. La ricostruzione fatta da un paio di fonti romane descrive un’operazione di sistema con in regia il governo e, in particolare, il ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti e con il preciso obiettivo di proteggere Anima da appetiti stranieri.
La minaccia, si sostiene, sarebbe venuta da Amundi, entrata nel capitale della sgr con il 5,2% nell’aprile scorso, proprio nelle stesse settimane in cui la capogruppo Credit Agricole saliva al 9% di Banco Bpm. Ufficialmente il colosso francese del risparmio ha sempre escluso intenzioni ostili su Anima, definendo la quota un investimento di natura finanziaria. Rumor su un arrotondamento sostanziale della partecipazione sono però circolati con insistenza sia in autunno che all’inizio del 2023. Nel frattempo Riccardo Barbieri ha sostituito come direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera, privando la finanza francese di un punto di riferimento prezioso e aprendo così la strada a un profondo rimescolamento degli equilibri in alcune importanti partite societarie.
Con l’ingresso di Fsi il fronte dei soci italiani di Anima ha superato il 40%, tenendo conto anche del 3% comprato nella primavera scorsa da Francesco Gaetano Caltagirone. Con alcuni arrotondamenti, la compagine potrebbe rapidamente raggiungere la maggioranza assoluta del capitale, mettendo in sicurezza il controllo della sgr da appetiti stranieri. Questa è la chiave di lettura data anche dagli analisti di Equita: la quota di Fsi – spiega la sim – insieme a quella di Poste si avvicina a quella di Banco Bpm, rafforzando il posizionamento dei soci italiani con forte peso istituzionale e riducendo teoricamente le probabilità di un aumento nell`azionariato o di progetti ostili da parte di Amundi.
Nel frattempo gli occhi sono puntati sul rinnovo del cda della sgr. Il vertice della società dovrà essere rinnovato dall’assemblea convocata per il 21 marzo e ai grandi soci spetterà la scelta dei nuovi amministratori. A presentare una rosa di nomi dovrebbero essere Banco Bpm, Poste e Assogestioni che già nell’ultimo rinnovo avevano espresso il board di Anima. Sembra invece che Amundi non prenderà alcuna iniziativa, mentre per ora Fsi non scopre le carte. (riproduzione riservata)
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