IL NEO-PRESIDENTE DELL’ACEA: CON L’EURO 7 A RISCHIO QUATTRO FABBRICHE DI RENAULT
di Francesco Bertolino
Un costruttore come Renault potrebbe vedersi costretto a chiudere quattro fabbriche con l’avvento dello standard di emissione Euro 7. La sua adozione nel 2025 farebbe lievitare di 2.000 euro il prezzo delle vetture e «forzerebbe le case a investire miliardi per benefici ambientali minimi», ha sottolineato Luca de Meo, neo-presidente dell’Associazione dei Costruttori Europei (Acea), in una lettera aperta alle istituzioni europee. «Questi fondi sarebbero più utili alle tecnologie a zero emissioni».

L’ad di Renault è il secondo manager dell’auto in pochi giorni a paventare la chiusura di impianti in Europa. A inizio gennaio il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, ha infatti avvertito che la riduzione degli stabilimenti sarà inevitabile se il prezzo delle auto elettriche non scenderà, facendo di conseguenza salire i volumi di produzione.

Sono sincere preoccupazioni o parziali esagerazioni per spingere le autorità e i governi europei ad allentare i limiti di emissione ed elargire aiuti ai costruttori? Probabilmente, gli appelli hanno entrambi gli obiettivi.

L’auto europea si trova indubbiamente davanti a un tornante insidioso. L’Acea non dubita della necessità di azzerare le emissioni inquinanti del trasporto. Critica però la decisione dell’Ue di adottare l’elettrico come unica ed esclusiva tecnologia di decarbonizzazione. «La svolta verso l’auto elettrica pone l’Europa in svantaggio nel controllo della catena del valore specialmente nei confronti dei concorrenti cinesi», scrive de Meo. «Nel 2030, non più del 5% delle materie prime necessarie per le batterie proverranno dall’Europa».

Il dato cozza con una recente analisi della no-profit Transport & Environment, secondo cui l’Ue potrebbe raggiungere entro il 2030 una significativa autonomia nella produzione di motori elettrici. Questioni di punti di vista e di dati. L’Acea è un’organizzazione di lobby, certo. Forte dei 14 costruttori membri (erano 16 prima dell’uscita di Stellantis e Volvo), però, l’associazione ritiene di disporre delle informazioni più affidabili e intende condividerle con Bruxelles per rendere più efficaci le politiche di accompagnamento della transizione elettrica e le loro tempistiche.

«Invitiamo con urgenza l’Europa ad adottare un piano industriale per l’auto ambizioso e strutturato, per contrastare quelli di altre regioni globali» che «incentivano il percorso» verso le zero emissioni, mentre l’Ue si limita a «regolarlo». Stati Uniti e Cina stanno infatti «sostenendo e stimolando la loro industria» attraverso, rispettivamente, l’Inflation Reduction Act e il Made in China 2025. Lo stesso, è il sottinteso, dovrebbero fare l’Europa e i suoi governi attraverso un’azione coordinata, pur «salvaguardando e promuovendo il libero commercio nel mondo». Il bilanciamento fra aiuti protezionistici e globalizzazione sarà complesso.

Trovarlo e in fretta sarà necessario, secondo l’Acea, a scongiurare la deindustrializzazione di un comparto che vale l’8% del pil europeo, 80 miliardi di surplus commerciale, 374,6 miliardi di gettito fiscale e 13 milioni di posti di lavoro. Un settore insomma strategico, come dimostra la presenza dello Stato nel capitale di quattro dei cinque maggiori costruttori europei: Stellantis e Renault hanno la Francia, Volkswagen e Mercedes i Lander tedeschi. Qualcuno perciò immagina già che le case Ue possano beneficiare in futuro di aiuti di Stato, qualora la Commissione Ue decida di allentare le regole in materia per controbilanciare gli incentivi verdi dell’amministrazione Biden. (riproduzione riservata)
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