di Debora Alberici*
Il consulente legale non risponde di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte solo perché gli sono state consegnate le chiavi dell’azienda indebitata con l’Erario. L’accusa deve infatti identificare ed esplicitare gli atti posti in essere nell’ambito della presunta frode fiscale. La Cassazione con sentenza 6164 di ieri ha accolto il ricorso di un legale accusato di concorso in vari reati tributari realizzati per conto della società cliente., un’azienda indebitata con il fisco, i cui vertici erano stati accusati di frode fiscale, sottrazione fraudolenta la pagamento delle imposte, bancarotta fraudolenta. Tali accuse erano state estese anche al professionista al quale, aveva detto il cliente stesso, erano state consegnate le chiavi della società. Lui aveva quindi architettato di sottrarre i beni all’erario e fatto i falsi in bilancio. L’affermazione dell’accusa, non è tuttavia sufficiente affinché gli Ermellini confermino il sequestro di tutti i suoi beni. Dovrebbero essere meglio specificati gli atti fraudolenti commessi. Per la terza sezione penale se il comprovato ruolo dell’avvocato di consulente legale e di gestore di fatto delle aziende sotto il versante operativo può essere ritenuto idoneo a giustificare, almeno in questa fase, un coinvolgimento dello stesso nel compimento delle iniziative aziendali rivelatesi prodromiche al fallimento, allo svuotamento delle casse societarie, alla falsificazione e all’occultamento delle scritture contabili, viceversa tale ruolo non può essere ritenuto sufficiente per addebitare all’indagato la realizzazione delle attività funzionali alla sottrazione fraudolenta di beni al pagamento delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, dovendosi in tal caso specificare in che misura il ricorrente abbia contribuito a tali condotte fraudolente.
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