TEMPI

Autore: Anna Fasoli
ASSINEWS 327 – febbraio 2021

Che di arte ce ne voglia, lo hanno insegnato i mesi trascorsi. Quell’arte nel vero senso della parola, ovvero la capacità di innovare, stupendo. Ci vuole però una caratteristica in più, assolutamente inusuale per il nostro contesto sociale, ed è la dimensione del coinvolgimento, della diffusione. In una parola, creatività.

«Tutto ciò che prima non c’era ma realizzabile in modo essenziale e globale» così Bruno Munari, nel testo Fantasia, definisce la creatività differenziandola dalla fantasia come dall’invenzione. Ed è di creatività, dunque, che parliamo, su questo banco invisibile di prova, una sorta di olimpiade necessaria e imprevista a cui tutti, volenti o nolenti, ci siamo trovati “iscritti” e abbiamo cominciato a darci da fare.

Così lo smart working è diventato il nostro quotidiano. A cominciare dal nome, che l’Accademia della Crusca vorrebbe fosse “lavoro agile”, così sancendo l’inevitabile vittoria dell’anglicismo, che, come sostiene Domenico De Masi, in un bel lavoro uscito proprio in questi mesi del lockdown, è decisamente più sexy (anche perché meno di lavoro agile era difficile…).

Dentro il nome
La nozione la propose nel 2008 una ricerca condotta da Capgemini per conto del CIPD (Chartered Institute of Personnel and Development), racconta sempre De Masi, ricordando che già si era usata quell’espressione, ma non aveva decollato. Il prestigio degli istituti coinvolti, e forse l’orizzonte complicato su cui ci stava affacciando l’economia globale, impressero agilità a quell’idea di «approccio all’organizzazione del lavoro mirato a generare maggiore efficienza ed efficacia nel raggiungimento dei risultati lavorativi attraverso una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, parallelamente all’ottimizzazione degli strumenti e degli ambienti di lavoro».

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