di Luca Gualtieri
Dopo mesi di accelerazioni e frenate e non pochi scontri all’interno della maggioranza Pd-M5S, il governo targato Mario Draghi potrebbe avere effetti significativi anche sui futuri assetti del sistema bancario italiano. Non solo perché, come si è visto ieri, l’ex presidente della Bce gode della fiducia dei mercati e può quindi alleviare il peso dei quasi 400 miliardi di titoli di Stato oggi in pancia agli istituti, ma anche perché definitivamente potrebbe aprire la stagione del consolidamento. L’opinione è condivisa dalle sale operative, come attestano diversi report pubblicati ieri. Il governo Draghi inoltre «potrebbe supportare il consolidamento nel settore bancario», ha spiegato per esempio Diego Toffoli di Intermonte Sim.
Il dossier su cui gli effetti potrebbero essere più immediati è quello del Montepaschi. In base agli accordi presi nel 2017 con la Commissione Europea nell’ambito del salvataggio, il Tesoro dovrà uscire dal capitale di Siena entro la fine di quest’anno. Malgrado la determinazione del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri però finora l’obiettivo è apparso in salita. La forte opposizione dei grillini e di una parte del Partito Democratico al processo di privatizzazione ha infatti ostacolato le iniziative del Mef e si è riflessa anche nelle scelte del board del Montepaschi.
La complessità della partita ha finora tenuto lontani i potenziali compratori e l’unico soggetto seduto al tavolo della trattativa, Unicredit, appare cauto su un’acquisizione. La banca di piazza Gae Aulenti ha peraltro dovuto gestire il delicato passaggio di consegne tra Jean Pierre Mustier e il futuro ceo Andrea Orcel, altra circostanza che ha rallentato la trattativa. L’impasse delle ultime settimane avrebbe peraltro fatto tornare di attualità l’ipotesi di un rinvio della privatizzazione di cui già lo scorso anno si era parlato nell’esecutivo. Ora però un eventuale governo Draghi potrebbe cambiare la situazione. Il futuro ministro dell’Economia potrebbe infatti imprimere un’accelerazione al dossier Mps per rispettare le scadenze concordate a suo tempo con la Commissione Europea.
La partita passerà ovviamente attraverso la creazione di una dote per il compratore su cui già il governo uscente aveva iniziato a lavorare. Se la trasformazione delle dta in crediti fiscali è stata blindata in legge di bilancio (l’effetto dovrebbe essere di oltre 2 miliardi), nelle scorse settimane sarebbe in fase di definizione la garanzia sul contenzioso da parte di un broker. C’è chi scommette che la dote sarà sicuramente più ampia. Si sta per esempio delineando un’ulteriore pulizia dell’attivo della banca senese e della stessa Unicredit per propiziare le nozze.
Se insomma l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi sbloccherà quasi certamente il destino di Siena, altri dossier potrebbero mettersi presto in movimento. I primi indiziati sono Banco Bpm e Bper i cui azionisti spingono da tempo per un’integrazione alla pari ma c’è chi scommette anche su Popolare di Sondrio, Credito Emiliano e Banco di Desio, senza considerare l’incerto futuro di Carige, oggi appesa a un’opzione di acquisto di Cassa Centrale. (riproduzione riservata)
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