di Carlo Giuro
Uno dei profili di maggiore attenzione nella revisione del sistema previdenziale è costituito dalla necessità di dotare il sistema produttivo di soluzioni di turnover generazionale. Si vuole da un lato consentire, attenuando l’onere sul bilancio pubblico, una exit strategy previdenziale neutra parziale o totale ai lavoratori non più giovani. Al contempo si vuole favorire a beneficio delle imprese, in un soft landing, la possibilità di organizzare piani di ristrutturazione occupazionale mediati dalla contrattazione collettiva decentrata, per cogliere l’auspicabile ripresa economica e le sfide della innovazione tecnologica in una visione di reskill and upskill (riqualificazione e aggiornamento) del capitale umano. Se ne sta discutendo nell’ambito del tavolo di confronto in corso tra governo e sindacati su un nuovo intervento di riordino del nostro sistema previdenziale. In tale prospettiva si collocano due interventi di restyling nella recente Legge di bilancio di strumenti che erano già presenti nel sistema.
In primo luogo si proroga a tutto il 2021 il contratto di espansione ampliandone la platea delle aziende potenzialmente destinatarie, da quelle con più di 1.000 dipendenti come era in precedenza previsto, alle aziende con almeno 500 dipendenti. Il contratto di espansione, nei suoi profili previdenziali, può traghettare i lavoratori che si trovino a non più di 5 anni dal conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, che abbiano maturato il requisito minimo contributivo, o anticipata. Dal punto di vista concreto è un’indennità mensile, ove spettante comprensiva dell’indennità NaSpi, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, così come determinato dall’Inps. Nell’ipotesi in cui il primo diritto a pensione sia quello previsto per quella anticipata il datore di lavoro versa anche i contributi previdenziali utili al conseguimento del diritto, con esclusione del periodo già coperto dalla contribuzione figurativa a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro.
Si interviene poi sulla isospensione, termine con cui si definisce l’esodo incentivato introdotto dalla legge Fornero, prevedendo la possibilità fino al 2023 (rispetto alla precedente deadline del 2020) per i lavoratori interessati da eccedenze di personale di accedere al pensionamento anticipato qualora raggiungano i requisiti minimi per il pensionamento fino ai sette anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro. La finalità è quella di incentivare il turnover dei dipendenti in esubero, nelle aziende che abbiano almeno 15 dipendenti, versando una prestazione che è pari all’importo della pensione loro spettante sino al raggiungimento dei requisiti minimi per l’effettivo pensionamento (di vecchiaia e anticipata). Nella versione originaria si prevedeva che la platea dei lavoratori interessati fosse rappresentata da coloro che avessero raggiunto l’età di pensionamento nei quattro anni successivi al versamento della prestazione. La legge di Bilancio 2018 aveva consentito nel periodo 2018-2020 che i requisiti minimi possano essere elevati da quattro a sette anni, possibilità ora confermata fino al 2023.
Quali sono poi altri strumenti utili disponibili nell’anno in corso? Vanno ricordati i diversi canali di pensionamento ordinari (pensione di vecchiaia, pensione anticipata) e quelli che beneficeranno di una proroga in Legge di Bilancio (opzione donna, Ape sociale). Va inoltre ricordato come nel 2021 è ancora vigente Quota 100, cui si può accedere con 62 anni di età e 38 anni di contributi con finestra trimestrale (semestrale per i dipendenti pubblici), introdotta proprio con l’obiettivo di favorire il ricambio occupazionale che terminerà quest’anno la propria naturale sperimentazione.
Va poi sottolineato il possibile utilizzo in chiave di accompagnamento al turnover, come sottolineato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, del riscatto laurea cd. light (che costa cioè 5.260 euro per ogni anno di contributi acquisiti). Con un onere relativamente sostenibile e deducibile dal reddito, si sottolinea, si può cioè «comprare anzianità contributiva» utile per accedere ai diversi canali di flessibilità in uscita, dalla pensione anticipata, al pensionamento in Quota 100 e opzione donna. Utile a tal proposito una recente risposta a interpello della Agenzia delle Entrate secondo cui è deducibile a fini Ires il costo che l’impresa sostiene per il riscatto laurea agevolato dei dipendenti nell’ambito di una forma di incentivo all’esodo.
Non va dimenticato come anche la previdenza complementare sia stata modellata in senso evolutivo per sostenere gli iscritti in prospettiva di processi di ristrutturazione aziendale. Il riferimento puntuale è alla Rita, la Rendita integrativa temporanea anticipata, prestazione che consiste nell’erogazione in forma rateale, una sorta di riscatto frazionato, del montante accumulato. Possono richiedere la Rita i lavoratori che abbiano cessato l’attività lavorativa e a cui manchino non più di cinque anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia, purché siano in possesso di un requisito contributivo di almeno 20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza, e i lavoratori disoccupati da più di 24 mesi cui manchino non più di 10 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza.
Per entrambe le casistiche è necessario avere il requisito di cinque anni di partecipazione a una forma di previdenza complementare. La rendita integrativa temporanea anticipata viene percepita dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia. Per quel che riguarda la periodicità del frazionamento, la Covip, Commissione di vigilanza sui fondi pensione guidata da Mario Padula, reputa rimessa alla forma pensionistica la relativa definizione, anche attraverso l’eventuale indicazione di più opzioni alternative che possano rispondere alle diverse esigenze degli iscritti. In ogni caso, tenuto conto della funzione della Rita, volta ad assicurare una misura di sostegno al reddito dei lavoratori non occupati e come tale fruibile con cadenza ravvicinata, si ritiene che l’erogazione della rendita debba avere una periodicità non superiore ai tre mesi. Dal punto di vista fiscale la prestazione subisce un prelievo fiscale consistente in una ritenuta a titolo d’imposta (senza ulteriore applicazione di addizionali regionali o comunali) con l’aliquota del 15%, con una riduzione dello 0,3% per ogni anno eccedente il 15° di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione del 6%. (riproduzione riservata)
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