Le sgr quotate devono assicurare un’adeguata remunerazione gli azionisti attraverso le commissioni. Ma c’è da tenere conto del pressing delle autorità per una maggiore equità degli incentivi legati alle performance
di Paola Valentini
In attesa dei rendiconti previsti dalla direttiva Mifid 2 su rendimenti e costi 2020 che banche e reti devono inviare entro il 30 aprile agli investitori, proseguono le grandi manovre sulle commissioni da parte delle sgr, che devono difendere i loro margini. Nel mirino ci sono le commissioni di performance, dopo che Banca Generali ha annunciato nei suoi fondi lussemburghesi una nuova politica di pricing che prevede un taglio, con contestuale incremento delle commissioni di gestione. Un intervento realizzato a seguito delle pressioni delle authority, che premono per rendere più eque queste voci di costo variabili le quali, accanto alle commissioni di gestione che sono fisse, servono a remunerare il gestore che ha battuto il mercato. Da ultima c’è l’Esma che di recente ha emanato delle nuove raccomandazioni sul tema. Il focus dell’Autorità europea di vigilanza sui mercati finanziari è in particolare sulla frequenza di calcolo che dovrebbe essere almeno annuale, per evitare che applicazioni ravvicinate nel tempo, come nel caso di conteggi mensili o trimestrali, possano far sì che il gestore incassi la commissione di performance anche in anni complessivamente negativi per il cliente.
Le regole Esma sono entrate in vigore all’inizio di quest’anno per i nuovi fondi, mentre per quelli già operativi le società di gestione hanno tempo per adeguarsi fino a fine anno. Non a caso Banca Generali, che ha presentato il nuovo metodo di calcolo all’autorità di vigilanza lussemburghese, prevede l’applicazione dall’inizio del 2022. Secondo un’analisi di Ubs sui fondi di Banca Generali domiciliati in Lussemburgo (dove si possono applicare strutture commissionali altrimenti vietati dalle normative sui fondi di diritto italiano), i comparti Bg Selection applicano commissioni di performance su base mensile senza high watermark (questo meccanismo pone un limite ai costi perché stabilisce che la commissione di perfomance sia determinata tenendo conto non soltanto dei rendimenti positivi, ma anche delle eventuali perdite passate), mentre quelli della famiglia Lux Im le calcolano su base giornaliera con un high water mark a 12 mesi. Già lo scorso anno 2020 gli analisti di Ubs affermavano: «Crediamo che Banca Generali, avendo commissioni di gestione inferiori rispetto ai concorrenti, ha spazio per adottare aggiustamenti alle sue strutture di costo simili» a quelli effettuati da Azimut e Banca Mediolanum. Il riferimento va al fatto che queste ultime due società avevano già fatto interventi sulle commissioni di performance, mentre Fam, la fabbrica prodotti di Finecobank, è nata tre anni fa senza applicarle: sull’onda del pressing regolamentare il gruppo ha preferito fin da subito adottare una politica di remunerazione non basata su queste voci. Discorso diverso per Azimut e Banca Mediolanum che già prevedevano commissioni di performance mensili sui propri fondi di diritto estero e all’inizio del 2019 hanno deciso di adottare una metodologia di calcolo annuale, allineandosi alle raccomandazioni di Iosco (l’associazione internazionale delle Consob dei singoli Paesi) alle quali poi l’Esma si è ispirata. E per compensare il calo atteso delle commissioni di performance come risultato del nuovo metodo, entrambe hanno fatto salire le loro commissioni di gestione dello 0,5%. Ma mentre Banca Mediolanum ha introdotto contemporaneamente questi ritocchi, Azimut invece ha aumentato subito le commissioni di gestione ma non è ancora passata per tutti i fondi alla nuova struttura di performance fee.
Anche Banca Generali intende fare come Azimut: ha detto che taglierà le commissioni di performance da inizio 2021, ma ha in programma di aumentare quelle di gestione (l’incremento si dovrebbe limitare a 5-6 punti base) già a partire da luglio. Proprio perché già dal 2019 era intervenuta nei fondi di diritto estero (quelli italiani sono invece disciplinati dalla più severa normativa del 20016 della Banca d’Italia) lo scorso anno Mediolanum ha visto il peso dei ricavi da commissioni di performance sugli utili scendere del 63,8% a 153,5 milioni, come emerge dai dati al 31 dicembre 2020 raccolti da MF-Milano Finanza. Si tratta comunque di circa un terzo degli utili netti dell’anno (434,4 milioni). Mentre per Banca Generali il calo è stato molto più contenuto: -3,8% a 141,8 milioni, valore che rappresenta circa la metà degli utili netti del gruppo (274,9 milioni). Insomma, le commissioni di performance sono una voce importante nel conto economico e una loro limitazione costringe le sgr, in particolare quelle quotate, a correre ai ripari anche per assicurare una remunerazione costante agli azionisti.
Come si evince dallo studio di Mediobanca Securities sui bilanci 2019 delle maggiori dieci società di gestione italiane (per un totale di 1.000 miliardi di asset, poco meno della metà di tutta l’industria dell’asset management italiano), queste solo nel 2019 hanno sfiorato quota un miliardo, al netto dell’effetto fiscale si tratta del 36% degli utili netti totali (2,37 miliardi). Anche se con differenze di peso notevoli: da Fineco che non le applica fino ad Azimut e Banca Mediolanum, per le quali le commissioni di performance nette nel 2019 erano oltre il 60% dei profitti netti (al 66 e al 62%). In Banca Generali il rapporto tra oneri di incentivo e utili 2019 era al 49%, in Anima al 23%.
Su Banca Generali Equita osserva che l’intervento sui costi «comporterà una riduzione delle performance fee da circa 100 milioni all’anno, in media tra il 2016 e il 2020, a 70-80 milioni», mentre la revisione al rialzo della struttura di commissioni di gestione porta «un impatto positivo di 25/30 milioni». Mediobanca ricorda che «il cambio del meccanismo di calcolo per adeguarsi alle regole Esma scatterà dal 2022 e per compensare il minor contributo delle commissioni di performance la banca aumenterà le fee di gestione da luglio», creando una finestra di sei mesi in cui saranno in vigore le due metodologie più favorevoli per la banca. Quanto ad Azimut, «la società ha implementato un repricing dal 15 febbraio 2019 per ridurre l’effetto della variazione del calcolo delle commissioni di performance che diventa annuale. Nonostante il gruppo nel 2019 abbia cambiato la metodologia su metà dei suoi asset basati in Lussemburgo, fino al 2020 una significativa quota è rimasta con il calcolo mensile. Questo significa che sono addebitate ai clienti maggiori commissioni ricorrenti dal 2019, continuando a pagare performance fee mensili sulla metà degli asset». Sempre Mediobanca ha calcolato i costi medi pagati dai clienti nel 2020, considerando sia le commissioni di gestione sia quelle di performance (in tabella). Per Banca Mediolanum l’importo è del 2,33% (di cui 2,07% di gestione e 0,26% di performance), Azimut del 2,21% (1,81 più 0,3%), Finecobank dell’1,7% (non ha commissioni di performance) e Banca Generali dell’1,6% (1,34% e 0,26%). Sulla base invece dei primi dieci fondi per masse, le commissioni di gestione medie più elevate sono di Mediolanum (2%) e Fineco (1,95%), seguono Banca Generali (1,8%) e Azimut (1,79%), tutte oltre la media europea (Esma) pari all’1,6% per i fondi azionari (i più cari) e italiana (Morningstar) dell’1,83% relativa a tutti i prodotti attivi. E sono più alte per Mediolanum e Fineco rispetto a Banca Generali e Azimut, che beneficiano di commissioni di performance relativamente più generose nell’attesa di rivedere l’applicazione performance fee sui fondi entro fine anno.
C’è poi il tema dei reclutamenti, che è legato ai profili di remunerazione: come si evince dalle analisi di Mediobanca ed Ubs i consulenti di Azimut e Mediolanum mostrano un tasso di produttività più basso rispetto a quelli di Fineco e Banca Generali e questo accentua l’importanza di ingaggiare nuovi banker per sostenere l’incremento delle masse su cui si calcolano poi le commissioni dei fondi (si veda tabella). «La struttura commissionale del risparmio gestito gioca un ruolo chiave nell’investimento finanziario a medio-lungo termine. In Italia ha un’architettura complessa, opaca e su più livelli. L’investitore dovrebbe tener sotto controllo i costi che sostiene indirettamente, quali commissioni di performance e di gestione. oltre ai costi diretti quali commissioni di sottoscrizione o di rimborso», afferma Andrea Rocchetti, head of investment advisory di Moneyfarm. I rendiconti Mifid 2 hanno il compito di semplificare la vita al risparmiatore in tal senso, mostrandogli l’impatto di queste voci di costo aggregate in valore nominale, anche se per avere il dettaglio dei singoli strumenti in portafoglio e di ciascuna voce continua a essere necessaria la richiesta del prospetto analitico all’intermediario. «Le ripetute attenzioni dei regolatori al tema delle commissioni di performance e le recenti linee guida emanate dalle associazioni di categoria italiane sui rendiconti Mifid 2 sono un segnale positivo, che incoraggia tutta l’industria a mettere i costi in chiaro e minimizzarne l’impatto sul rendimento finale dell’investimento». conclude Rocchetti. (riproduzione riservata)
Panebianco (PwC): Masse record per l’effetto mercato
Le masse delle società di asset management in Italia sono ai massimi storici: 2.421 miliardi di euro (dati Assogestioni), un tesoretto che ha fatto del comparto uno dei più solidi dell’economia nazionale, anche nell’anno della pandemia. Dall’altra parte, però, c’è il risparmio ammassato nei conti correnti, che all’ultima rilevazione Abi di gennaio ha raggiunto il record di 1.743 miliardi, +11,6% annuo. MF-Milano Finanza ne ha parlato con Mauro Panebianco, partner di PwC Italy e specializzato nell’asset & wealth management.
Domanda. Cosa ha permesso le masse da record del 2020?
Risposta. Sui patrimoni ai massimi storici ha influito in particolare il supporto delle banche centrali. Di fronte a un’economia in difficoltà, l’andamento dei mercati è stato robusto. La gente che è rimasta a casa durante il lockdown si è concentrata sulla gestione dei patrimoni, incrementando il trading e l’investimento, e privilegiando prodotti azionari a quelli flessibili.
D. Sui bilanci ha pesato più l’effetto dei mercati o quello della raccolta?
R. La componente essenziale è l’andamento dei mercati. Nel primo trimestre la gente voleva disinvestire, ma i lockdown hanno calmierato il fenomeno: infatti, il mercato domestico è ancora intermediato dai canali bancari, e molte famiglie non potevano uscire di casa per recarsi negli istituti di credito. Nei trimestri successivi i listini hanno ricominciato a crescere, favorendo la raccolta. Nel complesso, i mercati hanno fatto di più dell’impegno delle banche a vendere prodotti gestiti.
D. Quali sono i punti di forza delle sgr?
R. Guardando al primo trimestre, quelle Sgr dotate di piattaforme di trading hanno saputo sfruttare la volatilità, incamerando grandi commissioni di brokerage come Fineco. Quindi, la complementarietà di gestione e trading è risultata vincente.
D. E nel resto dell’anno?
R. In seguito si è rafforzato il trend del green e dei prodotti sostenibili: i gestori che avevano un’offerta convincente a riguardo hanno saputo trarne vantaggio.
D. Come si stanno muovendo le aziende a livello di costi?
R. Le società hanno meno ricavi, perché la competizione coi prodotti passivi sta riducendo le commissioni anche sull’asset management attivo. Al contempo, investimenti in tecnologia e pressioni regolamentari hanno aumentato le spese. Per questo le aziende spingono sulla marginalità: per esempio con processi di efficientamento, sfruttando i robot in sostituzione delle attività a poco valore aggiunto. E nel frattempo cercano forme di ousourcing.
D. Alla luce di ciò, qual è la sua visione per il 2021?
R. I dati di gennaio rilevano che gli investitori hanno scommesso sulla ripresa, anche grazie all’apporto dei vaccini. Finché le banche centrali rimarranno accomodanti, inoltre, lo scenario per l’asset management resta positivo.
D. Quali sono le scommesse dell’industria del risparmio?
R. La prima è negli investimenti in economia reale: è qui che dovrebbe essere incanalato il risparmio degli italiani, perché le imprese hanno bisogno di grandi finanziamenti, soprattutto tecnologici, che le trasformino. E poi c’è il tema della transizione verso un mondo più sostenibile. Da questo punto di vista, se ci sarà una gestione efficiente del Recovery Plan si assisterà a un nuovo rimbalzo dei mercati, che gioverà a tutta l’industria. (riproduzione riservata)
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