Tra gli esperti di turnaround si sta affermando una tendenza: il ricorso a soluzioni che prevedono la cessione di crediti unlikely-to-pay e la fornitura di supporto finanziario. Anche tramite piattaforme fintech
di Stefania Peveraro
Il mercato dei crediti corporate utp (unlikely to pay) continua ad attrarre nuovi investitori, perché lo stock di crediti sui libri delle banche è ancora alto e le aspettative di tutti sono per un ulteriore aumento in corrispondenza della fine delle moratorie sui crediti fissata per il 31 marzo dall’Eba e del combinato disposto della nuova definizione di default in vigore dal 1° gennaio e dall’applicazione del calendar provisioning da parte delle banche. Non solo; la dimensione del mercato utp nella realtà è ancora più grande, se si pensa che negli ultimi anni un gran mole di crediti si è semplicemente spostata dai bilanci delle banche ai portafogli degli investitori specializzati, ma quei crediti vanno ancora lavorati, cioè le aziende debitrici devono essere riportate in bonis e in grado di rimborsare i loro debiti, grazie a un’operazione di rilancio. Stiamo parlando di circa 55 miliardi di euro di utp e di 5 miliardi di scaduti sui libri delle banche a fine 2020 e di 23 miliardi di euro di utp nei portafogli degli investitori, secondo i calcoli di Banca Ifis. A questa cifra, poi, dovrà essere aggiunta una buona fetta di quei 60-100 miliardi di crediti deteriorati totali che finiranno sui libri delle banche nel prossimo paio d’anni, così come emerge dalle stime di vari centri studi e come riportato da ultimo da Marina Natale, ceo di Amco, in occasione della sua audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, guidata da Carla Ruocco, nei giorni scorsi.
Ma, appunto, una volta che i crediti passano di mano, bisogna fare in modo che le aziende debitrici si riprendano. Quello che serve è, oltre a un buon piano industriale, una gestione efficiente dei flussi di cassa clienti e fornitori. Il binomio special situation-factoring è ormai un trend. A ottobre il gruppo Prelios e Generalfinance, leader del factoring specializzato in imprese distressed, hanno chiuso un accordo per supportare le aziende i cui crediti sono classificati dalle banche come utp. In sostanza, Generalfinance metterà a disposizione la sua offerta nel segmento del factoring alle società presenti nel portafoglio Prelios, in situazione di tensione finanziaria, allo scopo di favorire il risanamento delle imprese.
In novembre poi Clessidra sgr ha chiuso l’acquisto dell’intero capitale di Compagnia Europea Factoring Industriale (Coefi), che è stata contestualmente rinominata Clessidra Factoring spa. L’operazione è strategica per Clessidra, perché l’attività di Coefi è sinergica a quella del Clessidra Restructuring Fund, il fondo dell’sgr dedicato all’acquisto di utp societari dalle banche e al rilancio delle aziende debitrici, gestito da Federico Ghizzoni e Giovanni Bossi. L’ex Coefi sarà il trampolino di lancio di Clessidra nel settore del factoring distressed: Clessidra Factoring finanzierà il capitale circolante verso aziende con piani di ristrutturazione in corso e di pmi con buone prospettive industriali ma difficoltà di accesso al credito bancario. Il piano industriale di Clessidra Factoring punta a portare il turnover dagli attuali 50 a 750 milioni nel 2024, con un margine di intermediazione di circa 20 milioni.
Anche il fondo Ccr I gestito da Dea Capital Alternative Funds sgr ha fatto uso di factoring e reverse factoring per liberare liquidità per le aziende in portafoglio. Vincenzo Manganelli, responsabile della gestione del fondo, lo scorso novembre 2020 ha raccontato a MF-Milano Finanza l’esperienza relativa a Util Industries, l’ultima partecipazione in portafoglio al fondo, che ha chiuso il 2020 con una performance di bilancio molto buona, a cui si è arrivati lavorando sul fronte industriale e sul fronte del circolante. In particolare, ha detto Manganelli, «lavorando sui flussi clienti, fornitori e magazzino è stato possibile creare liquidità per gli investimenti, senza dover ricorrere al supporto di finanza fresca da parte del fondo».
Lo stesso tipo di approccio ha adottato anche Marco Neri, amministratore unico di Alpitel, ex vicepresidente esecutivo di Psc (impiantistica elettromeccanica e termica, in corsa per rilevare Italtel in concordato), secondo cui il nuovo tipo di gestione dei flussi clienti e fornitori è stato responsabile di larga parte del turnaround condotto su Alpitel, acquisita nel 2019 da Psc. Per liberare cassa, ha detto Neri, «siamo andati alla ricerca di finanza alternativa: abbiamo siglato un accordo con il Supply Chain Fund di Groupama am sgr (che compra fatture utilizzando la piattaforma fintech Fifty, ndr), perché il mio obiettivo era siglare contratti con i fornitori, dando tranquillità perché c’è un’istituzione finanziaria che garantisce il pagamento. Così abbiamo potuto chiedere ai fornitori di aumentare anche lo sforzo produttivo». E ora, conclude Neri, «una volta che Italtel dovesse entrare nel nostro perimetro, si seguirà lo stesso approccio adottato per il turnaround di Alpitel». (riproduzione riservata)
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