La crisi innescata nel 2020 dalla pandemia ha un impatto doppio sul Pil italiano rispetto a quella iniziata nel 2008-2009, che pure aveva costretto il 17,5% delle aziende familiari italiane a entrare in procedure concorsuali o liquidatorie nel decennio successivo.

Secondo i calcoli del XII Osservatorio Aub, il 25-30% delle aziende familiari è così a rischio, nonostante si siano affacciate al 2020 in una situazione patrimoniale, reddituale e finanziaria migliore rispetto a quella del 2009.

“A parte la speranza che la ripresa, questa volta, sia più veloce, la nostra analisi mostra che l’unica via di uscita è un maggiore ricorso all’equity, accompagnato da un’apertura alla leadership esterna e a un suo auspicabile ringiovanimento”, spiega Guido Corbetta, titolare della Cattedra Aidaf-EY di strategia delle Aziende Familiari in memoria di Alberto Falck della Bocconi e curatore dell’Osservatorio con Fabio Quarato.

L’Osservatorio Aub, promosso da Aidaf – Italian Family Business, Cattedra Aidaf-EY della Bocconi, UniCredit e Cordusio, con il supporto di Borsa Italiana, Fondazione Angelini e Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi, monitora tutte le aziende familiari italiane che hanno superato la soglia di fatturato di 20 milioni di euro: 17.984 aziende, di cui 11.808 a controllo familiare (pari al 65,6%).

L’analisi mostra che, rispetto all’inizio del 2009, la quota di aziende familiari con una struttura patrimoniale o reddituale davvero compromessa (equity o EBITDA negativi) era scesa all’inizio del 2020 dal 4,3% al 3,4% e quella di aziende con indicatori di solidità critici era scesa di dieci punti (dal 38,8% al 29,9%), mentre le aziende che disponevano di una liquidità superiore all’indebitamento erano salite dal 17,7% al 29,5%, Tuttavia, il 33% delle aziende mostrava una struttura inadeguata ad affrontare la crisi pandemica.

Un’analisi condotta con Fsi (Fondo Strategico Italiano), inclusa nell’Osservatorio, evidenzia l’effetto negativo dell’indebitamento sulla performance dei cinque anni successivi e mostra che, anche in caso di basso livello di indebitamento, un suo aumento ha un impatto negativo su crescita e redditività. Ne consegue che in questo momento le aziende migliori, devono crescere attraverso l’equity e non il debito.

L’Osservatorio si conclude con una prima analisi della reazione delle imprese familiari alla crisi pandemica, condotta sulle società quotate (al netto di banche e assicurazioni).

“I dati confermano la grande reattività delle aziende familiari e l’apprezzamento del mercato per tale caratteristica”, afferma Fabio Quarato. Pur partendo da un livello decisamente più basso (25% contro il 43% del campione totale, che comprende familiari e non familiari), le aziende familiari hanno quasi raggiunto le altre nell’utilizzo dello smart working (85% vs. 93% del campione totale) durante il 2020.

Nel 77% dei casi, inoltre, le aziende familiari si erano attivate per dare supporto ai dipendenti, soprattutto dal punto di vista della sicurezza (protocolli e fornitura di dispositivi di protezione individuale). Ne derivavano, per il primo semestre, una riduzione dei ricavi più contenuta (10,1% vs, 11,9% delle non familiari), un aumento dell’occupazione (+3,4%) da confrontarsi con un calo nelle non familiari (-1,4%) e una performance di borsa migliore del 22,3%.

“L’analisi dell’Osservatorio Aub, che include un confronto tra primi 1.000 gruppi di Germania, Francia, Italia e Spagna, ci conferma che le imprese familiari continuano a rappresentare l’ossatura di molti di questi mercati”, commenta Francesco Giordano, Co- Ceo CB Western Europe di UniCredit.

“L’Italia – dove valgono il 43,7% – ne è un chiaro esempio. Il dato italiano è in linea con quello tedesco del 39,5% e spagnolo del 35,4% e ci racconta come la ripartenza dell’economia europea sia strettamente connessa a queste realtà aziendali. Proprio per questo, ancor di più nel momento delicato che stiamo affrontando, il ruolo del sistema bancario e il supporto finanziario sono cruciali per sostenere la competitività di questi business. In UniCredit, anche grazie alle sinergie tra corporate banking e wealth management e alla nostra presenza internazionale, vogliamo garantire un supporto strategico alle nostre imprese familiari, sostenendo i loro progetti non solo in ottica creditizia, ma anche offrendo una consulenza strategica più ampia, che possa supportare percorsi nuovi di innovazione, crescita dimensionale, internazionalizzazione e sostenibilità”.

“Dalla ricerca emergono, ancora con più forza, due cose: la grande importanza nella nostra economia Nazionale delle imprese familiari e il bisogno di dotarle di una governance e management per un sano passaggio generazionale e all’altezza delle prossime sfide”, dichiara Francesco Casoli, presidente di AIDAF – Italian Family Business.

“La crisi pandemica ha reso evidente la necessità di avere aziende più patrimonializzate, in grado di accedere a diversi canali di finanziamento”, commenta Barbara Lunghi, head of primary markets di Borsa Italiana, “aziende reattive e solide dal punto di vista dei sistemi manageriali, gestionali e di governance. Il mercato dei capitali e la quotazione in Borsa possono svolgere un ruolo importante per fornire finanza, longevità e resilienza alle aziende familiari con benefici evidenti per la nostra economia. Nonostante i diversi elementi di incertezza dovuti non solo alle conseguenze determinate dal coronavirus ma anche a fattori geo-politici, le quotazioni a livello globale non si sono fermate. Anche in Italia nel 2020 ci sono state operazioni interessanti con 24 nuove ammissioni e per la gran parte aziende familiari. L’auspicio è quello di vedere un numero maggiore di aziende familiari scegliere la Borsa per rafforzarsi ed essere in grado di affrontare con gli strumenti adeguati le sfide del mercato e cogliere le opportunità di un ecosistema sempre più globale”.

“Le aziende familiari, meglio di altre, dimostrano di poter fronteggiare crisi globali come quella che stiamo vivendo, ma per vincere la grande sfida della crescita e dell’internazionalizzazione sono indispensabili anche cultura manageriale e del merito e piani strutturati di successione”, conclude Sergio Marullo di Condojanni, ceo di Angelini Holding. “In tal senso, in Angelini abbiamo intrapreso un percorso che ci ha portato alla definizione di una nuova governance di gruppo che coniuga una holding industriale di indirizzo strategico con l’autonomia e l’accountabilty delle società operative e dei manager che le gestiscono”.

Fonte: MF Dowjones

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