di Simona D’Alessio
L’insostenibile «pesantezza» del welfare (nel 2019 oltre 114 miliardi di spesa assistenziale, in ascesa rispetto ai 73 del 2008) che grava sulla fiscalità generale, cui si affianca la previsione che, a causa della pandemia, una fetta di italiani punti al pensionamento anticipato, considerato «una sorta di ammortizzatore sociale»: a conti fatti, il 2020 potrebbe vedere i lavoratori in quiescenza «aumentare di circa 100.000 unità». E, nel contempo, si stima che le entrate contributive risentiranno delle difficoltà occupazionali legate al Covid-19 (i posti in meno potrebbero raggiungere quota 700.000 nell’anno della diffusione del virus), così come le uscite per prestazioni: dunque, per il disavanzo dell’Inps, «al netto dei trasferimenti statali», l’ipotesi per il biennio 2020-2021 è di una salita «fino a 33 miliardi, per poi rientrare su livelli più fisiologici a partire dal 2023». È quel che viene messo in luce nell’VIII rapporto del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali, illustrato dal suo presidente Alberto Brambilla ieri, alla Camera; il documento, che si prefigge (anche) l’obiettivo di smascherare alcuni «falsi miti», rivela come (sempre con riferimento al 2019) sia sì «vero che le singole prestazioni di importo pari a circa 1.000 euro sono circa 14,7 milioni e rappresentano il 64,6%» di quelle in pagamento, però i percettori «sono meno della metà, circa 6,3 milioni, ovvero il 39,4% del totale dei pensionati», visto che nel nostro Paese si stima vi sia «una media di 1,422 prestazioni» per ciascun soggetto che, pertanto, mediamente, riceve un trattamento e mezzo, potendoli cumulare.

La spesa di natura previdenziale, recita il dossier, è stata di 230,259 miliardi nel 2019 contro i 225,59 dell’anno precedente e, con entrate contributive pari a 209,4 miliardi (+2,29%), «il saldo negativo si è attestato a 20,86 miliardi», un disavanzo su cui grava «soprattutto la gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia un passivo di oltre 33 miliardi, parzialmente compensato dall’attivo di 6,3 miliardi delle gestioni dei lavoratori dipendenti privati e dai 7,4 miliardi di quella dei parasubordinati». Gettando, poi, lo sguardo sui conti delle Casse dei professionisti, il rapporto sottolinea come tutte presentino «un attivo di bilancio, con l’eccezione dell’Inpgi (l’Ente di previdenza dei giornalisti), per un saldo positivo complessivo di 3.843 milioni»; esaminando il rapporto pensionati/attivi, si legge, i dati migliori li vanta la Cassa forense (12,01 avvocati destinatari di trattamento ogni 100 attivi), seguita dalla Cassa dottori commercialisti (12,24) e da Inarcassa (21,52 gli architetti e ingegneri quiescenti ogni 100 in esercizio).

Quanto, infine, alle opportunità di uscita dal mondo del lavoro, Itinerari previdenziali pone l’accento sulla «performance» di «Quota 100» (la soglia raggiunta con 62 anni di età anagrafica e 38 di contribuzione, ndr): nel 2019, assieme alla proroga di «Opzione donna», «Ape sociale» e precoci, vi son stati 264.765 nuovi assegni pensionistici ottenuti con «requisiti più favorevoli».

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